Gli universi virtuali, la ribellione delle macchine intelligenti e il mutantismo sono i tre leit motiv portanti del sequel in arrivo nei cinema italiani. Tematiche importanti e sbalorditivi effetti speciali

Matrix, specchio delle ossessioni

di Giancarlo Beltrame

L'uscita a distanza ravvicinata di "Matrix Reloaded" e "XMen2 - Il ritorno" suggerisce qualche riflessione sull'ultima fantascienza hollywoodiana. Una delle caratteristiche del genere è sempre stata quella di interpretare aspettative, desideri, timori, fobie della società americana. Così negli anni '50 gli alieni (un titolo per tutti "L'invasione degli ultracorpi" di Don Siegel) erano stati una metafora della paura del comunismo e interpretavano a modo loro la guerra fredda, mentre alla fine degli anni '70 il mostro di Alien che prendeva possesso di un corpo dall'interno e lo divorava progressivamente era stato letto come un simbolo del cancro, all'epoca considerato la malattia del secolo. Da qualche anno a questa parte, invece, Hollywood, oltre a rifare con nuovi e aggiornati effetti speciali classici del passato, si muove su tre binari principali e in parte paralleli: gli universi virtuali, la ribellione delle macchine intelligenti e il mutantismo. Chiaro che le ansie e le preoccupazioni alle quali questo cinema dà forma e immagine sono quelle maggiormente sentite in questo scorcio iniziale di millennio. "Matrix Reloaded" ha il merito di riassumere tutte queste ossessioni, inserendole oltretutto in un contesto che se da un lato pesca a gran mani nelle tradizioni mitologiche (basti pensare ai personaggi che si chiamano Persephone, la regina dei morti, o Morpheus, il Dio dei sogni) o religiose (l'eroina è Trinity, l'eroe Neo, con tanto di tonaca svolazzante come un pretino degli anni '50, è "l'Eletto", ma ci sono anche l'Oracolo, la Porta della Luce, l'Architetto che ha creato il mondo?), mescolandole con tracce di cultura diverse (il cattivo, guarda caso francese, si chiama Merovingio, la sotterranea città rifugio degli ultimi ribelli umani è Zion, un antico termine ebraico che significa un luogo di rifugio o un santuario) e con le più disparate fonti letterarie e iconografiche (i romanzi futuristici di Philip K. Dick, i robot di Asimov, l'"Alice" di Lewis Carroll, i manga giapponesi, i film acrobatici cinesi, gli studi sulla simulazione e sui simulacri di Jean Baudrillard, e chi più ne ha più ne metta), dall'altro filosofeggia a tutto campo su problemi eterni come la libera scelta e la predestinazione (qui informaticamente chiamata programmazione). Come nel primo episodio del 1999, finché resta in questa ambito il film è frastornante e affascinante, trascina in un vortice da labirinto degli specchi tecnologico, dove la moltiplicazione delle immagini non fa più capire cosa sia realtà e cosa virtualità. Dopo di che, per comprensibili esigenze di cassetta diventa una sagra degli effetti speciali. "Matrix" dimostra che l'ambiguità e l'impossibilità di capire il senso profondo di ciò che vediamo, o meglio ci viene mostrato, non sono solo in ciò che racconta ma anche in ciò che è. Esattamente come il mondo verso il quale ci siamo incamminati.

Collaborazione di Carmelo Scuderi, http://www.informiamo.com