Mercati e petrolio in tempo di guerra

A cura di M. Campaniolo


Le tensioni internazionali di queste ultime settimane legate alle prospettive di guerra all'Irak, spingono gli operatori a cercare di capire cosa accadrà ai mercati azionari e al prezzo del petrolio, e a fare previsioni. Al riguardo sembrano prevalere due orientamenti: negli ambienti finanziari americani c'è chi ritiene che la guerra all'
Irak ci sarà, finirà in poche settimane e sarà vinta , e questo esito spingerà le borse verso l'alto; e chi invece prevede tempi molto più lunghi ed è più pessimista al riguardo. Le aspettative sul prezzo del petrolio seguono un po' lo stesso percorso, c'è chi pensa che le turbolenze saranno contenute perché la guerra sarà breve e l'Occidente recupererà il controllo dei pozzi iracheni, e c'è invece chi ipotizza aumenti più consistenti perché la guerra sarà lunga e complicata. Si tratta in entrambi i casi di previsioni estreme in cui ottimismo e pessimismo si confrontano, dando l'impressione di ispirarsi a visioni che sanno di sapore soprattutto ideologico e di schieramento. L'incertezza va da sé che c'è ed è tanta, ma quando si cerca di tradurla in numero, allora non va bene essere troppo sbrigativi, specie se si tratta di considerare come essa si riflette sulle diverse variabili che influenzano il mercato.

La caduta dei valori azionari verificatasi nel 2002 è innanzitutto da ricollegare al venir meno della bolla speculativa degli anni precedenti, al ciclo economico basso, e agli scandali finanziari che lo hanno caratterizzato e certamente all'
11 settembre. Una guerra breve e vittoriosa ridimensionerebbe positivamente quest'ultimo effetto, ma non cancellerebbe le altre ragioni della crisi. Si potranno avere degli indici in salita per qualche settimana ma se non aumenta stabilmente la fiducia degli investitori è probabile che la ripresa non sia duratura. Il punto è questo: quanto conta su tale fiducia l'esito positivo della guerra? Chiaro che una guerra lunga accrescerebbe l'effetto negativo dell'attacco terroristico alle Twin Towers e rimanderebbe a data da destinarsi la comparsa del "toro", ma non è detto che una guerra breve lo inciti stabilmente, perché per farlo "caricare" è necessario che cambino in positivo le previsioni sui fondamentali delle imprese e sul mercato e si ricostituisca la fiducia da parte degli investitori. Ripetere gli anni '90 e soprattutto l'euforia finale del decennio non appare probabile, perché non sembrano esserci per ora segnali da parte della economia reale su cui innescare la nuova ondata sia in Europa sia negli Stati Uniti. Il 2003 sarà perciò ancora un anno di corsi volatili anche se la guerra non si facesse, o dovesse terminare presto.

Le
previsioni sul prezzo del petrolio soffrono di analoghe combinazioni di effetti ciclici ed effetti strutturali. Per venirne a capo bisogna ricordare un po' di storia. Prima del 1973 il petrolio quotava 3 dollari al barile sul mercato internazionale, prezzo che era rimasto stabile per tutto il decennio precedente. All'epoca, il Venezuela come gli altri paesi produttori aumentavano le estrazioni per far crescere gli introiti, e solo dopo la decisione dell'OPEC – l'associazione dei paesi produttori –avvenuta in quell'anno, è stata ridotta la produzione e sono stati aumentati i prezzi. Si è, cioè, avviata una politica di cartello, sostenendo che questa decisione era giustificata dalla previsione di un calo delle riserve naturali previsto per il 2000 in presenza di una domanda crescente, e da un prezzo relativo petrolio/beni industriali decisamente decrescente. Per riequilibrare la ragione di scambio del petrolio e per favorire gli investimenti in fonti di energia alternativa, il prezzo fu portato prima a 13 dollari e poi a prezzi ancora più elevati. Sul mercato libero di Amsterdam, l'arabian light, il migliore petrolio per fare benzine, salì fino a circa 40 dollari agli inizi degli anni '80. Successivamente il prezzo diminuì, anche perché nel frattempo si erano avviate le estrazioni offshore, prima fuori mercato, e erano stati messi a coltura nuovi campi da paesi come il Messico, e l'Ecuador in America Latina, la Nigeria in Africa e la Norvegia in Europa, mentre altri come il Venezuela nell'area della foce dell'Orinoco avevano avviato lo sfruttamento di nuovi giacimenti. Il risultato è stato che ci si è resi conto che la potenzialità produttiva mondiale era di molto superiore alle previsioni catastrofiche della metà degli anni '70 e di esaurimento del petrolio non si è più parlato.

Questa è la ragione per cui oggi il problema dell'esaurimento delle fonti non si pone in maniera così drammatica, come fu posto allora, anzi per la verità sembra non porsi per niente. L'
aumento del prezzo del petrolio dipenderà dal ciclo della guerra e sarà influenzato dalla limitazione temporale dei rifornimenti provenienti dal Golfo Persico e non dipenderà dalle previsioni di scarsità progressiva come si paventò negli anni '70. Naturalmente gli effetti negativi in termini di aumento dei costi di produzione si faranno sentire in Europa e in America, ma ancora di più si faranno sentire nei paesi in via di sviluppo, tipo Brasile ed India il cui fabbisogno petrolifero è soddisfatto largamente dalle importazioni. Va da sé che quanto più lunga sarà la guerra tanto più sarà lungo il periodo in cui il prezzo rimarrà alto e tanto più ritarderà la ripresa della economia mondiale e in particolare dell'Europa e degli Stati Uniti prevista nella seconda parte di quest'anno. Per quanto riguarda l'entità, l'aumento già verificatosi sconta in parte le restrizioni di approvvigionamento che vi potrebbero essere nei prossimi mesi, mentre la lunghezza temporale delle stesse potrebbe aggiustarlo verso il basso o verso l'alto in rapporto alla rapidità dell'esito delle operazioni belliche. Le aspettative dei mercati finanziari e del petrolio sono perciò influenzate dalla lunghezza della guerra (se si farà), ma mentre per i mercati esse scontano anche altre ragioni importanti di prudenza da parte degli investitori, per il petrolio esse si fondano sostanzialmente sulle prospettive della durata degli eventi bellici.
Michele Bagella

http://www.emporion-online.it/24-2003/rubriche/bagella.htm