L'intervista. Antonio Rodotà si dice preoccupato per i progetti in cantiere: per il 2004 era in programma la partenza del modulo italiano
ROMA - Improvvisamente, l'Europa scopre che la crisi della NASA la tocca solo in parte, senza rischiare di colare a picco la sua strategia per il futuro. "L'Europa non ha puntato tutte le sue carte sulla presenza umana nello spazio", spiega il direttore generale dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA), l'italiano Antonio Rodotà.
La tragedia dello shuttle sembra capace di mettere in ginocchio una NASA che era già in crisi finanziaria. Che cosa accadrà all'Europa spaziale?
"Innanzitutto, capiamo le proporzioni. La NASA ha 18.000 addetti, l'ESA solo 1.800. Gli investimenti americani nello spazio sono sei volte quelli del Vecchio Continente. Detto questo, sono molto addolorato per quel che accaduto sabato, per le vite perdute, per lo sgomento degli americani. Ma l'Europa, nello spazio, ha avuto la saggezza di non puntare tutto o quasi su un solo numero. Per noi l'avventura dell'esplorazione umana è una parte, ma solo una parte, del programma. L'abbiamo voluta fare con altri partner, da sempre, proprio perché riteniamo che l'impegno finanziario e tecnologico richiesto possano aver senso solo in un contesto di collaborazione internazionale. Noi non abbiamo né navette né capsule per inviare persone nel cosmo. Abbiamo astronauti, certo, ma viaggiano con i mezzi russi e americani. Oggi, in questa contingenza drammatica, noi non possiamo che stare alla finestra per capire che cosa accade".
Quali sono i punti di forza della presenza europea nel settore spaziale?
"Noi ci occupiamo, come la NASA, di stazione spaziale, ricerca scientifica, osservazioni della terra, ma a differenza dell'ente americano ci occupiamo anche di satelliti di telecomunicazione e lanciatori, cioè missili, di una categoria diversa da quella di cui si occupa la NASA. L'Europa è riuscita, nonostante gli scarsi investimenti, ad acquisire una posizione di primo piano sul cosiddetto mercato commerciale dello spazio. Il che significa che gli investimenti europei sono stati ben utilizzati e ben finalizzati. Le scelte sono state oculate. Abbiamo cercato di intervenire su campi che avessero dei ritorni anche in termini applicativi e non solo di prestigio. E si che noi abbiamo un problema manageriale in più: la NASA deve rispondere ad un solo governo, noi a quindici".
Insomma, l'Europa non crede agli uomini nello spazio?
"No, non è così. Noi siamo convinti, ad esempio, che se vuoi fare una scienza di alto livello come quella che si sta facendo sulla Stazione Spaziale Internazionale, serve non solo l'astronauta, ma anche una presenza significativa. Un anno fa la NASA era in difficoltà finanziarie e ha chiesto un accordo a tutti i partner della stazione per ridurre la presenza degli astronauti da sei a tre. Ma si è visto subito che il livello della produzione scientifica calava. Io non credo che il dibattito ideologico "sì all'uomo nello spazio - no all'uomo nello spazio" abbia un senso di per sé. Bisogna valutare le cose concrete, gli obiettivi, gli impegni che si sono presi con le aziende e la comunità scientifica. Poi, certo, pesare tutto questo sul piano dei rischi e dei benefici".
Ma che cosa si ferma, per l'Europa, con il blocco dei voli dello Shuttle?
"Non poco, per la verità. Sta per essere trasferito negli USA dagli stabilimenti dell'Alenia Spazio di Torino il "nodo", cioè la struttura di raccordo tra il corpo della stazione e i moduli futuri. L'anno prossimo sarebbe dovuto partire il nostro modulo Columbus. Tutto questo subirà un ritardo. Noi però siamo già in fase di progettazione avanzata con la navetta che trasporta i materiali per la sopravvivenza, l'ATV un traghetto spaziale capace di trasportare attrezzature, carburante ed il necessario alla sopravvivenza degli astronauti (acqua, cibo, aria ecc.). I primi voli dovrebbero essere nel 2004. Ne costruiremo otto. Dopo tutto, siamo ottimisti".