Cina Superclone

Embrioni a volontà. Ambizioni sfrenate. E tanti soldi dallo Stato. Così Pechino vuole vincere la corsa genetica. Per vendere poi i brevetti all'Occidente

di Renata Pisu

In Cina molti hanno un sogno: nella provetta, non nel cassetto. Sono i ricercatori della biotecnologia e della genetica, cervelli di prim'ordine impegnati a dar lustro al loro paese, ma anche a diventare ricchi e famosi. Sognano di lanciare l'equivalente dello Sputnik, impresa che nel 1957 sanzionò l'alto livello scientifico raggiunto dall'Unione sovietica. Loro, i cinesi, non mirano però al cielo, ma al corpo umano, un universo di cellule da produrre, estrarre, clonare, congelare e impiantare per guarire malattie croniche, far camminare i paralizzati, addirittura arrivare a fornire organi di ricambio su misura, perfettamente compatibili, all'umanità intera. O per lo meno a quegli umani che potranno permetterselo.

Sorride beato il giovane Wang, uno degli assistenti del professor Zhu Jianghong che si è laureato a Harvard, ma ora dirige le ricerche sulle cellule staminali cerebrali all'Università Fudan di Shanghai, a dimostrazione del fatto che, in Cina, i cervelli ritornano. Li si invoglia a tornare agevolandoli in tutti i modi, e li si inonda di fondi governativi e privati, come il dono di circa mezzo miliardo di dollari che il pluri-miliardario di Hong Kong, Li Ka-shing, ha donato proprio all'Università di Fudan, al laboratorio dove Wang per ora si limita a fare l'assistente. Ma quando pensa al suo futuro, Wang lo vede roseo, coronato forse da un bel premio Nobel, mai assegnato a un cinese di Cina per la scienza. È stato lui che, parlando con "L'espresso", ha paragonato l'impresa spaziale sovietica (che sembra addirittura appartenere a un'altra era geologica) alle ricerche sulle cellule staminali che oggi, in Cina, ricercatori in gamba e scienziati ciarlatani stanno conducendo a ritmo serrato in centinaia e centinaia di laboratori. Comunque, il giovane Wang ha sottolineato, mentre il sorriso gli si allargava sempre più sul volto, che rispetto allo Sputnik "si avrà una ricaduta commerciale assai più consistente".

Già, premio Nobel all'orizzonte e soldi, soldi, soldi. Prima di tutto da investire nelle ricerche, poi da mettere in tasca, quando i risultati ottenuti saranno brevettati, protetti cioè dalla legge internazionale sulla proprietà intellettuale che i cinesi, dal canto loro, non hanno mai un granché rispettato, nemmeno dopo la recente adesione all'Organizzazione mondiale del commercio. Ma loro si limitano a "clonare" videocassette di Disney o cosucce del genere: peccati veniali tutto sommato. Se invece gli stranieri dovessero mai copiare i risultati delle loro ricerche sulla clonazione umana, il peccato sarebbe mortale, il danno economico immenso.

Infatti lo Sputnik che la Cina si appresta a lanciare nell'universo scientifico riguarda la clonazione umana, ma non a scopo riproduttivo ("Siamo già in tanti, proprio non ci interessa l'argomento", ha dichiarato di recente il dottor Dou Zhongyin, ricercatore nello Shaanxi) bensì unicamente a scopo terapeutico. E questa è proprio la notizia bomba che ha scosso la comunità scientifica internazionale, interessata alla clonazione terapeutica, ma frenata dal dibattito sui principi etici: infatti, per la clonazione terapeutica bisogna distruggere gli embrioni umani di pochi giorni creati in laboratorio al fine di ottenere le cellule staminali che, a differenza delle cellule adulte le cui funzioni sono pre-programmate, possono dar vita a cellule differenziate di tessuti specifici, del fegato, per esempio, o del cuore, dei muscoli, dei nervi. Ha commentato Paul Berg, premio Nobel per la chimica della Stanford University: "Che fare? Certo, possiamo sempre condannare i cinesi come scienziati senza-Dio dell' Impero del Male. Ma potremmo anche dire: "Ehi, aspettate un momento, anche noi vogliamo partecipare a questa corsa"".

I cinesi però non si fidano. Soprattutto non si fida il professor Huang Shaoliang dell'Università Sun Yat-sen di Canton che, nel suo povero e scarsamente attrezzato laboratorio, ha cominciato a dedicarsi a studi sulle cellule staminali estratte da embrioni umani. Era l'anno 1995 e gli embrioni glieli forniva la vicina clinica universitaria per la fecondazione in vitro che, dopo aver impiantato gli embrioni migliori nell'utero della madre, gli metteva a disposizione i rimanenti, gli scarti. Un'abbondanza di embrioni e, anche, una mancanza di scrupoli, sotto certi punti di vista assai brutale. All'epoca, i ricercatori occidentali estraevano cellule dello stesso tipo dai topi, tentando di differenziarle in cellule ematiche perché era difficile, se non illegale, lavorare sugli embrioni umani. Alla fine del 1997 Huang era riuscito finalmente a isolare cellule embrionali staminali ma gli mancava uno speciale reagente chimico per marcare le cellule e poterne osservare lo sviluppo; così si rivolse a un ricercatore americano del quale aveva stima, James Thomson, esponendogli dettagliatamente, via e-mail, la metodologia da lui applicata e i risultati ottenuti. Non ebbe mai risposta. Però, con sua grande sorpresa, 11 mesi dopo lesse su "Science" un articolo di Thomson sulle cellule staminali embrionali che creò sensazione nel mondo intero.

Il professor Huang, a quanto riferisce Charles C. Mann su "Wired" in un'inchiesta dedicata all'argomento, non ha mai accusato Thomson di plagio, per carità. Però ci è rimasto molto male: sostiene che mai e poi mai avrebbe pensato che uno scienziato americano potesse permettersi di lavorare con gli embrioni umani. Anche in America ci sono, dunque, degli scienziati senza-Dio? Ci sono, eccome. Quindi il professor Huang oggi non si fida. E anche se è convinto di riuscire a fare quanto prima una clamorosa scoperta, ora però si trova a corto di embrioni perché la clinica per la fecondazione in vitro che glieli forniva ha appena aperto un laboratorio di ricerca per mettersi in proprio nel grande business della clonazione terapeutica.

Una scienziata che invece dispone di ovuli congelati e di embrioni umani in abbondanza è la dottoressa Lu Guangxiu che a Changsha, nello Hunan, ha fondato all'inizio degli anni Ottanta la prima clinica per la fecondazione artificiale di tutta la Cina. Il suo Centro di ricerche sulle cellule staminali è altamente stimato in patria e all'estero. La signora Lu, una donna che oggi ha 64 anni ed è figlia di un famoso scienziato, il genetista Lu Huilin (autore di un trattato sulla riproduzione umana e l'ingegneria riproduttiva in cui anticipava l'avvento della clonazione) è considerata la ricercatrice di punta dell'intera Cina. Nel suo laboratorio la ricerca è indirizzata soprattutto sulla clonazione degli embrioni e sembra che l'équipe da lei diretta sia riuscita già nel 2000, senza tanta pubblicità, a clonare un embrione umano. Ormai ne avrebbe clonati a centinaia, ottenuti estraendo il Dna da una cellula umana adulta, riprogrammandolo al suo stato fetale e quindi iniettandolo in un ovulo e attendendo che si formi la blastociste che è il primo passo per la clonazione terapeutica, cioè per il "raccolto" delle cellule.

In Cina c'è anche chi sta tentando di creare blastocisti iniettando il Dna in ovuli non di donna, ma di una femmina di coniglio. Ancora, c'è chi si dedica alla creazione di cellule staminali nervose: quelle che, iniettate nella spina dorsale, la rigenerano (per lo meno questo è quanto accaduto a topi ai quali erano state spezzate più vertebre): è il professor Li Linsong che dirige il Centro di ricerca sulle cellule staminali dell'Università di Pechino (anche lui è uno dei cervelli tornati in patria dagli Stati Uniti, appena un anno fa).

L'estate scorsa, al Seminario di Biotecnologia e Farmacologia svoltosi a Shanghai, Li Linsong ha anche annunciato di aver scoperto il modo di introdurre materiale genetico in una cellula staminale per provocare la crescita di un organo definito e completo da poter trapiantare in un corpo umano. Certo, Li Linsong è un ricercatore serio, non nasconde le sue perplessità e riconosce che "creare" un organo complesso come, per esempio, un fegato, è una sfida che ancora non si sente di affrontare.

E un cuore? Un rene? Un orecchio? Ci sono ricercatori cinesi meno seri, più interessati ai quattrini e alla fama che a un premio Nobel, i quali hanno portato avanti ricerche con risultati alla Gabinetto del dottor Calligaris. Riuscite a immaginare un coniglio sulla cui testa è cresciuto un orecchio umano? Ebbene, in Cina lo si è visto, ma non è piaciuto tanto, anche se l'esperimento è stato presentato dal professor Cao Yilin, uno scienziato di Shanghai che è anche a capo del Centro Ricerche sui tessuti molli dell'Università del Massachusetts. Al Seminario svoltosi a Shanghai, il professor Cao ha annunciato di aver completato con successo una serie di esperimenti miranti a far crescere, nel corpo di una cavia, tessuti molli. Queste ricerche sono finanziate dal governo cinese con circa tre milioni di dollari e Cao si è dichiarato convinto che le sue scoperte potranno essere usate nella chirurgia ricostruttiva perché una sola cellula potrà essere stimolata a produrre tessuto molle in uno stampo a forma dell'organo che si desidera. Lo stampo, alla fine del processo, cadrà o si dissolverà, e ecco fatto l'organo nuovo. Ecco il coniglio con l'orecchio umano in testa, generato da una sola cellula. È orrore? O è futuro terapeutico?

Fonte: L'Espresso; Islamsunnita.