DIETRO LA NOTIZIA
I costi proibitivi dell'informazione
A cura di M. Campaniolo
Mediaset spende 40mila euro al giorno, ma i grandi network Usa sono arrivati a sborsare 50 milioni di dollari per il primo giorno di conflitto. In Internet il traffico cresce del 40%. Chi guadagna (pochi), chi perde (quasi tutti).
La copertura giornalistica del conflitto in Iraq costa alle reti Mediaset 40.000 euro al giorno, 280.000 euro alla settimana. Lo ha detto Piersilvio Berlusconi, vicepresidente del gruppo del Biscione, nel corso della presentazione alla comunità finanziaria dell'esercizio 2002. Le maggiori incertezze geopolitiche create dalla guerra a Saddam Hussein non hanno invece implicato una frenata della raccolta pubblicitaria, secondo quanto spiegato dall'amministratore delegato Giuliano Adreani. "Prima della partenza del conflitto - ha detto l'Ad - alcuni clienti hanno rinviato la partenza delle campagne" pubblicitarie. All'appello, ha spiegato, mancano soprattutto i grandi gruppi bancari e finanziari, che a giudizio di Adreani dovrebbero riprendere la spesa pubblicitaria tra maggio e giugno. (Ansa, 26 marzo, ore 16.57). Fonte: Il Sole 24Ore
L'approfondimento
Piersilvio Berlusconi ieri è stato il primo a toccare il delicato argomento dei costi della guerra per il mondo dell'informazione. Le questioni, come ha spiegato il figlio del premier e vicepresidente di Mediaset, sono molteplici: i costi "attivi", perché occorrono più giornalisti e aumenta moltissimo l'impegno delle strutture tecniche, e costi "passivi", perché la pubblicità cala.
Per quanto riguarda invece i quotidiani e la stampa in generale, una guerra come questa fa vendere di più?
Vediamo alcuni spunti, tratti dalla stampa internazionale negli ultimi giorni, su questo aspetto della copertura economica di una guerra, soprattutto negli Stati Uniti, dove tradizionalmente c'è maggiore trasparenza su questi temi.
I grandi network americani
Secondo una stima approssimativa il primo giorno di conflitto ai maggiori network televisivi (Cbs, Abc, Nbc) sarebbe costato 50 milioni di dollari, i seguenti quattro circa 30 milioni di dollari al giorno. Le tv via cavo allnews, quindi con abbonati paganti, come Fox e Cnn, calcolavano. alla vigilia della guerra, che avrebbero perso 10 milioni di dollari il primo giorno e dai 5 ai 6 nelle seguenti quattro giornate. Il conto era stato fatto però nell'ipotesi che la guerra durasse una settimana o poco più. E' probabile quindi che nei prossimi giorni le stime verranno riviste. Nessun network infatti (e in Usa sono tutti a capitale interamente privato, via cavo e non, senza possibilità quindi di un intervento pubblico, come nel caso della Rai) può permettersi costi di questo genere per periodi lunghi.
Link ai siti da cui sono tratte molte delle informazioni contenute in questo articolo:
Jerusalem Post
Cnn
WashingtonPost
New York Times
Le Monde
El Pais
Usa Today
The Guardian
China Daily
Per aggiornamenti giornalieri si possono inoltre visitare i "weblog" (in italiano) Wittgenstein e Il Bersò.
La questione della pubblicità
Lo hanno chiesto in molti, in America: più rispetto per i soldati in guerra, anche nei messaggi pubblicitari, che devono essere più sobri, e possibilmente anche meno frequenti, specie durante le trasmissioni dal fronte o tra le pagine dei reportage di guerra. Lo ha scritto per esempio la rivista di settore americani Advertising Age nel suo ultimo numero. "Dobbiamo avere più rispetto - dice Edward Benavent, presidente dell'agenzia di pubblicità (che ha filiali in tutto il mondo) Leo Burnett - per i ragazzi in Iraq e per il nostro Paese". Il rischio è che una pubblicità diversa o addirittura in calo sui media metta in difficoltà settori trainanti dell' economia. "Dobbiamo fare in modo - replica Kirstin Socha della rivista Rolling Stone - che il sistema resti a galla, pur nel momento della guerra".
Non sono ancora disponibili dati, ma, come nel caso di Mediaset, nei primi giorni di guerra, gli introiti pubblicitari sono senz'altro calati, sia per le tv sia per la carta stampata. E anche questa, come quella dei costi "tecnici" in crescita, non è una situazione che si possa fronteggiare sul medio lungo periodo senza rischiare, di fatto, il fallimento.
Le vendite dei giornali in tempo di guerra
A tutti i costi elencati, si aggiunge un'altra difficoltà: non è detto che le vendite di quotidiani aumentino, proprio a causa, in fondo, della"concorrenza" fornita dalla tv.
E' presto per fare dei bilanci, la guerra è iniziata da appena una settimana, ma da quello che si può capire dal mercato della stampa Usa le vendite nei primi due giorni di guerra, almeno per quanto riguarda i quotidiani di media grandezza, non sono andate alle stelle. Il confronto, per quasi tutti gli editori, è stata la prima guerra del Golfo. In quell'occasione tutti fecero l'esaurito e in molti casi si dovettero stampare più edizioni nello stesso giorno. Questa volta non è stato così. La ragione è, dicono tutti, nella copertura che la televisione ha dato dell'avvenimento, di gran lunga superiore a quella di 12 anni fa. Una stima approssimativa dice che chi aveva previsto in media un aumento di 100 mila copie, sulla normale tiratura, ha dovuto ricredersi. Sarebbero state sufficienti 25 o 30 mila. Tra le grandi testate la tiratura del New York Times è stata giovedì 20 marzo di 180 mila copie in più e venerdì 21 marzo, dopo il secondo giorno di guerra, di 400 mila copie in più, ma per ora Toby Usnik, delle relazioni esterne del giornale, non ha ancora fornito dati sulle eventuali rese.
Internet, il traffico cresce del 40 per cento
Decisamente migliori le notizie per il web. In questi ultimi giorni il traffico sui siti Internet, in Usa e Gran Bretagna, che pubblicano notizie, fotografie e filmati sulla guerra è salito del 40 per cento. La crescita di traffico ha aumentato, almeno nel caso della Bbc che lo scrive nel suo sito, il tempo di download della homepage del quotidiano inglese. Il tempo impiegato, nella pausa pranzo, è passato da 0,47 secondi a 1, 88 secondi.
I reporter in guerra, per qualcuno un business
E' difficile immaginare quali benefici economici immediati si possano trarre da un conflitto come questo. Qualcuno però ci è riuscito. Si tratta delle società inglesi che hanno tenuto i corsi di sopravvivenza ai giornalisti destinati alla spedizione nel Golfo. La Pilgrims Group nel Surrey, tanto per citare un caso, a febbraio aveva più di 150 iscritti, costo a testa di 3.200 dollari per sei giorni di lezioni. La Centurion Risk Assessment Services ha tenuto corsi a febbraio a 260 reporter a 2.500 dollari a testa d'iscrizione. A cui si possono aggiungere 1.600 dollari per un telefono satellitare in dotazione e quasi 2 mila dollari per un abbigliamento consono all'occasione.
Il boom dei satellitari
L'altro boom legato alla guerra riguarda i telefoni satellitari. Abbiamo infatti capito che l'informazione dall'Iraq in tempo reale è possibile proprio grazie a questo tipo di telefoni. La prova generale c'è stata in Afghanistan, ma è in occasione del conflitto in corso, rileva una nota di Intermatica,chhe giornalisti e tecnici utilizzano principalmente questo strumento per informare l'opinione pubblica. Tra i satellitari di ultima generazione più usati dai corrispondenti di guerra c'è Thuraya, prodotto da un consorzio internazionale.