In che cosa consiste la specificità
della cosiddetta "new economy"? Tra tutti i parametri di solito messi in
atto, a nostro avviso è specialmente necessario sottolineare la
de-materializzazione del settore reale, vale a dire l'essenziale cambiamento
di proporzioni tra l'entità e la struttura dei capitali che circolano da
una parte nei settori tradizionali dell'economia classica (produzione,
servizi, investimento) e dell'altra nel campo dei mercati borsistici, della
finanza virtuale, della scommessa sui mercati dei fondi pensione e dei
derivati di tipo più disparato (swaps, futures, warrants, put-options etc.).
Il noto economista americano H.B. Litvak, (che una volta, tra l'altro,
propugnava e sviluppava il concetto di "geo-economia"), ha proposto di
definire la "new economy" come "turbo-capitalismo".
Nell'economia turbo-capitalista – in quanto contro l'economia del
classico capitalismo industriale – il settore puramente finanziario
speculativo, la scommessa borsistica, le operazioni ad alto rischio e a breve
termine in strumenti di credito finanziario (che una volta costituivano non più
di un frammento, di un settore dell'economia classica) mostrano una crescita
sproporzionata, divengono autonome; esse eludono il modello classico
dell'equilibrio di mercato, in cui l'area della finanza pura ha sempre
conservato una certa correlazione alla produzione, alla dinamica della
relazione tra offerta e domanda incentrata su beni concreti.
Alcuni teorici dell' "analisi tecnica" dicono che i moderni
mercati e specialmente quelli dei fondi pensione e dei derivati, operano in
una condizione separata dai normali fondamentali dell'economia
capitalistica, diventando indipendenti dalla sfera della produzione reale. I
volumi finanziari coinvolti nel settore reale del credito ed i meccanismi di
investimento sembrano essere di molto inferiori al volume del capitale
virtuale che circola nel campo delle scommesse di borsa. In certe fasi di
questo processo vi è un fenomeno estremamente interessante: a certi livelli
di sfasamento dei tempi di mercato, la dinamica dell'evoluzione dei prezzi
diviene completamente indipendente dalla componente economica delle azioni,
perché la velocità del calcolo razionale dei fondamentali appare
considerevolmente più lenta del tempo necessario ai giocatori di borsa per
prendere una decisione. E di conseguenza, alcuni precisi momenti del gioco di
borsa sfuggono alla logica della dinamica di formazione dei prezzi tipica del
capitalismo classico. Un simile fenomeno era stato individuato anche in
precedenza ed alcuni sostenitori del sistema classico erano inclini a ridurre
questo fenomeno a fluttuazioni casuali (teoria del percorso casuale), che
sembravano anomalie solo ad una approssimazione assai grande, essendo inserite
in modelli di medio-lungo termine all'interno della logica normativa
dell'evoluzione di mercato.
Una caratteristica distintiva del turbo-capitalismo è che in pratica
esso si basa sul considerare situazione normale queste anomalie, conferendo
loro un autonomo valore teoretico. Fluttuazioni a breve termine delle tendenze
dei prezzi e operazioni ad alto rischio negli strumenti di credito finanziari
e nei derivati finiscono per essere il criterio prioritario per valutare il
passo dello sviluppo economico; ed il volume crescente del capitale impiegato
in questo settore, rispetto ai settori tradizionali, è la dimostrazione di
questo sviluppo. Le contabilità della circolazione di capitali del settore
virtuale generano il quadro impressionante di prosperità della "new
economy", e il frenetico coinvolgimento di semplici cittadini nel gioco
di borsa (di questi tempi una quantità senza precedenti di individui della
borghesia USA sono azionisti – cioè il 50% di tutti gli Americani!)
avvalora questa illusione.
Tale indirizzo alla virtualizzazione nelle condizioni del
turbo-capitalismo è accompagnato dall'incremento del settore dei servizi
all'economia, dal momento che la principale massa monetaria circola non nel
campo della produzione, ma nel campo dei settori di seconda linea. La old
economy, limitata al settore reale, è svalutata e inizia ad essere
considerata un'area minore, sussidiaria. Manager, specialisti nel campo
delle tecnologie di PR, designers, stilisti, etc. sono incomparabilmente
meglio retribuiti dei lavoratori della sfera manifatturiera o anche della
sfera commerciale.
Il processo di virtualizzazione viene anche rispecchiato nel tipo di
compagnie che divengono centrali nel gioco di borsa. Sono le compagnie
collegate alle "high technologies", all'informatizzazione ed alla
logistica dell'informatizzazione. Le principali aspettative degli azionisti
puntano in questa direzione, che è quanto più possibile pubblicizzata su
scala globale come "destino economico dell'umanità". Curiosamente,
queste compagnie hi-tech vengono valutate secondo la loro quotazione
azionaria, essenzialmente diversa dalla loro reale redditività. Ed il gap tra
la capitalizzazione di mercato e la reale efficienza (redditività) raggiunge
a volte percentuali a tre cifre. Valga come esempio il caso della company di
Internet, Yahoo, in cui il gap raggiunge la cifra senza precedenti del 1000 %!
In altre parole, la gente investendo denaro nelle azioni delle ammiraglie
della "new economy" (Microsoft, AOL etc.) è guidata da due
differenti motivazioni. In una prospettiva a lungo termine essi acquistano
efficienza futura, cioè pagano la loro convinzione che queste compagnie, non
così efficienti, possano in seguito realizzare un balzo qualitativo.
Ponendosi in questa convinzione, causando aspettative, gli azionisti ottengono
la parte del leone sui profitti ricavati dalla "new economy".
Apparentemente, le categorie "aspettativa" ed anche "convinzione" non
sono che virtuali. Le aspettative possono rivelarsi vere, ma possono anche non
esserlo. Anche l'efficienza di queste compagnie è virtuale. La sola cosa
non virtuale, reale, in questa situazione è l'aumento delle quotazioni
delle azioni – e tutti i partecipanti al processo possono essere
completamente convinti di questo, avendole cambiate in moneta contante. Dal
momento che l'intera macchina della "new economy" è diretta al
sostegno di queste aspettative, tali controlli non raggiungono una massa
critica, rimanendo dei casi particolari: avendo comprato e rivenduto le azioni
con profitto, senza nessun problema, il possessore sarà necessariamente
esposto alla tentazione di ripetere l'affare.
Così nel turbo-capitalismo ha luogo un'evaporazione dei
fondamentali. Che cosa sottolinea il termine "evaporazione" (in latino
"evaporatio")? Non che il capitale svanisce nel processo di
circolazione della "new economy", ma che esso cambia
considerevolmente la sua qualità. Nel modello classico il denaro è il sangue
dell'economia. Credito, investimento, strumenti finanziari, azioni,
prestiti, etc., servono alla fine al settore reale, creando un ambiente
operativo per la crescita, la metamorfosi e la scomparsa di beni. I più
astratti modelli economici che si riferiscono al capitalismo industriale non
attribuiscono alcun valore ontologico autonomo alla sfera finanziaria. Così
il capitale rimane confinato alla realtà materiale (o semi-materiale) della
vita economica, pur essendo un elemento derivato, anche se con un enorme grado
di indipendenza. Per quanto complesso possa essere, esso è comunque solo una
funzione del settore reale, una sua logistica, una sua ingegnosa proiezione.
Nella teoria liberale classica, le realtà ontologiche di base del
mercato rimangono comunque i cosiddetti "fondamentali", cioè gli assai
concreti e verificabili equilibri tra offerta e domanda, collegate a beni
concreti (o servizi). Questi fondamentali sono gli oggetti delle più
complicate manipolazioni rompicapo che formano anche il tessuto vivente della
storia economica. L'essenza del Marxismo è l'esposizione di alcune di
queste manipolazioni. Ma in ogni caso i fondamentali sono salvati, qualsiasi
sia la posizione tenuta in relazione ad essi dai principali attori del
processo economico.
Nella "new economy" questi fondamentali subiscono una
trasformazione qualitativa. La sfera della finanza virtuale e gli strumenti di
credito finanziario iniziano passo dopo passo ad affermare il proprio diritto
a cancellare la realtà dei fondamentali di mercato, come basi del sistema
operativo direzionale. E di conseguenza, si appropriano per sé dello status
di realtà finale, postulando i fondamentali di mercato in base alle proprie
regolarità inerenti, quando e ovunque sia necessario. Nel turbo-capitalismo
il primario ed il secondario, la base e la sovrastruttura scambiano i loro
posti – in questo viene mostrata l'essenza stessa della sua virtualità.
Virtualità è possibilità, i fondamentali del mercato sono gli elementi
della realtà. La "new economy" postula che i processi nella sfera del
possibile siano autonomi in relazione alla realtà. D'ora in avanti,
l'offerta e la domanda ed anche la concreta relazione tra di esse non sono
più i "fatti atomici" della gestione. Al contrario, esse vengono
concepite come conseguenze collaterali dei trend di oscillazione delle
scommesse borsistiche. L'offerta e la domanda possono essere totalmente
provocate o viste in modo artificiale, dipendendo dai processi autonomi dei
mercati.
Attraverso l'evaporazione, i fondamentali sono trasferiti ad uno
speciale livello di esistenza – essi non sono più soggetti e relazioni
costruiti in riferimento a soggetti, ma segni e relazioni che sorgono in
riferimento a segni (vedi G.Debord, J.Baudrillard etc.).
Il segno diviene l'equivalente elementare della virtualità. Così il
segno, inizialmente assunto solo a temporanea sostituzione della cosa, per
servire come suo sostituto relativo e convenzionale, acquista un'ontologia
autonoma, uscendo dall'associazione alla cosa significata, mostrando – da
un certo momento – solo se stesso. E inoltre, il segno può essere
interpretato attraverso cose differenti, non avendo un preciso equivalente,
ipnotizzando le coscienze per il fatto stesso della sua presenza, del suo
valore intrinseco. La contemplazione stessa del segno acquista un valore, il
confidare che esso esista, che esso sia qualcosa di vicino. Il segno può così
provare la sua reversibilità nei fondamentali a coloro che sono troppo
diffidenti o retrogradi; ma il senso del turbo-capitalismo è che questa
reversibilità è così "ovvia" che ogni tentativo di controllarla con la
realtà è concepito come qualcosa di fastidioso
e inappropriato, "incivile". "La saggezza convenzionale crede nel
segno" – ecco l'imperativo della "new economy". Dubitare di esso
vuol dire mostrare un'assoluta inverosimilità, "navigare contro
corrente".
Ecco come può essere un'obiezione: il modello descritto non
rappresenta che una stupida illusione. La "old economy", vedete, non
scompare dappertutto, le sue leggi non sono state abrogate da tutti. E se il
settore reale non si svilupperà o generalmente non opererà, il fosforescente
sistema delle piramidi virtuali e dei mercati surriscaldati, nonostante tutti
i convincimenti ipnotici, cadrà comunque…Quando il gap tra i fondamentali
evaporati (fondati sull'ontologia del segno) ed i reali, classici
fondamentali raggiungerà una forma critica, ci saranno un collasso, una
recessione, un crack di borsa, e tutto ritornerà di nuovo all'ineludibile
modello classico, al settore reale, etc. In realtà, le cose sono molto più
complesse.
Ma vediamo: qual è l'origine di un simile punto di vista dei
manifesti o impliciti sostenitori della "old economy", che criticano il
turbo-capitalismo e prevedono la sua inevitabile fine? Al fine di comprendere
convenientemente l'ontologia della "new economy" è necessario ritornare
al passato. E' vero, oggi la realtà dell' "evaporazione dei
fondamentali" dell'economia sta incombendo più sempre più vicina. Ma
quegli stessi fondamentali – quando e come hanno acquisito la qualità di
referenza di base della realtà ontologica? I sostenitori della "old economy"
generalmente trascurano tale problema. Per essi il contenuto ontologico della
comprensione economica della realtà appartiene alla categoria dei postulati:
l'economia e le sue leggi di sviluppo sono i fondamentali, dal momento che
sono connesse con gli aspetti elementari, primari, fondamentali della vita
umana – con la soddisfazione dei bisogni materiali primari e con la
complessa sovrastruttura socio-psicologica e politico-economica che sorge sul
loro fondamento. L'economia classica – sia liberale che marxista (come sua
derivazione eterodossa) – è partita (silenziosamente, ma anche
esplicitamente) dal riconoscimento della profonda natura ontologica dello
sviluppo economico. L'economia, il polo economico venivano visti come il
fondamento più profondo della vita umana, come una caratteristica della realtà,
nel suo senso etimologico – "l'essere cosa" [veschnost'].
L'economocentrismo è il denominatore generale della maggior parte
della visioni sociali e politiche della modernità. L'economia è vista come
la realtà originaria dello sviluppo sociale e, nello stesso tempo, come un
destino. Il dibattito con coloro che difendevano differenti equazioni
ontologiche è stato vinto da molto tempo. Per questa ragione il contesto
filosofico in cui si trova oggi l'argomento della "new economy", lo
svelamento dell' "ontologia del turbo-capitalismo", ed in particolare, i
segnali d'allarme sulla catastrofica "evaporazione dei fondamentali",
sono strettamente delimitati dai presupposti paradigmatici – l'ontologia
del mercato classico e la prospettiva allarmante della sua perdita
(trasmutazione) nelle nuove tendenze di transizione verso la virtualità. Così
lo sviluppo della virtualizzazione è riconosciuto dai sostenitori della
"old economy" come una disastrosa aberrazione, come certi casi storici di
"evoluzione in un vicolo cieco". A più lungo termine la loro prognosi è:
o il grande collasso del turbo-capitalismo e il ritorno agli standard classici
dell'economia o la catastrofe totale. E' assai interessante che gli
apologeti della "new economy" (le cui conclusioni filosofiche debbono
comunque essere ascoltate con grande prudenza, (dal momento che sono
tatticamente motivati e lautamente pagati) risolvano questo problema in modo
più spiritoso e (a nostro vedere) più coerente: essi affermano che la
virtualizzazione dell'economia e il divenire autonomi da parte dei segni non
portano in sè niente di particolarmente drammatico e che l'umanità (forse
non tutta l'umanità) si troverà bene nello spettacolo che si autogenera,
come a suo tempo assimilò la sfida dell'Età Moderna e in seguito approfondì
il suo economocentrismo. Questa posizione – assunta con alcuni correttivi
– è più interessante degli "avvertimenti dei classici" (per non
menzionare le sparate da retroguardia di certe specie di marxisti, bloccati
sul post-industrialismo). Là, dove gli apologeti della "old economy"
identificano una rottura senza precedenti, i sostenitori del turbo-capitalismo
vedono un continuum; ciò che i "classicisti" considerano come una
deviazione casuale, è identificato dai "virtualisti" come una fase
unicamente logica, che differisce da tutte le precedenti.
Per un più adeguato approfondimento dell'essenza del problema, è
necessario rivolgersi al contesto storico e paradigmatico in cui sono comparse
le prime teorie economiche. Certamente, alcuni definiti aspetti della
comprensione dell'economia sono sempre stati comuni a tutte le società. Ma
fino ad un preciso, strettamente fissato momento storico, essi non
rivendicarono (e per una serie di cause non potevano rivendicare) lo status di
disciplina indipendente, e per di più una funzione di interpretazione
filosofica prioritaria. Questo divenne possibile solo in seguito, quando
l'attenzione generale dell'umanità fu assorbita dalla libera ricerca di
sistemi di interpretazione inauditi – nel campo dell'ontologia,
dell'epistemologia, della metodologia, etc. – dove il successo fu a volte
spiegato da uno stravagante approccio nichilistico (nei confronti degli
standard convenzionalmente stabiliti – giudicati cumulativamente come
"reliquie" e "pregiudizi"). Certo, stiamo parlando dell'Età
Moderna, dell'Età dell'Illuminismo, etc. Lasciateci sottolineare che al
principio delle loro costruzioni teoretiche, Adam Smith e altri fondatori
dell'economia politica non rivendicarono una generalizzazione ontologica, in
quanto esse venivano considerate come uno strumento ed uno sviluppo
applicativo dell'approccio generale liberal-meccanicistico, mettendo in
opera i parametri socio-filosofici di Francis Bacon, John Locke e Thomas
Hobbes ed il metodo di applicazioni fisico e matematico di Galileo Galilei e
Isaac Newton, all'area dell'economia. Ma su questo campo applicativo
iniziale dell'economia politica furono incentrati tutti i motivi principali
dell'Età Moderna, espressi in semplici formule fisiche e matematiche. La
derivazione dell'uomo e dell'esperienza umana e, di conseguenza della vita
umana, da certe realtà inferiori, ontico-materiali, primarie – dal modello
di cose e di regolarità ad esse inerenti, ed anche dal sistema di scambi e
desideri con esse - balzò,
divenne una straordinaria e audace conclusione della fondamentale guida
intellettuale dell'Età Moderna, agevolmente incarnata nella struttura
razionale matematica, evidente e ottimamente applicabile nella pratica. Da
tale svolta come spesso accade, un'intera serie di implicazioni ontologiche
fu anche riportata sui classici dell'economia politica; anche il loro più
serio e autentico oppositore, Karl Marx, riconosce ingegnosamente nel campo
economico un polo di lotta escatologica dell'umanità per il significato e
il destino della realtà.
In ogni modo, proprio allora – allo storico punto di svolta
dell'incombente Età Moderna, e nel contesto di una generale rivoluzione
epistemologica, con il rifiuto della caratteristica normativa di fiducia della
società tradizionale e con la ricerca attiva delle radici dell'ontologia
nei sistemi degli oggetti materiali e nelle loro rappresentazioni – furono
concepiti i primi semi dell'ontologia del mercato, cioè degli stessi
fondamentali la cui evaporazione ispira oggi timori così forti in così tanta
gente. Così la deontologizzazione dell'economia non è un'esclusiva
proprietà della "new economy". Il turbo-capitalismo, la dominazione del
settore virtuale non fanno altro che estendere e sviluppare un impulso già
presente alla scaturigine stessa dell'economia moderna.
Nel sistema di valori della società tradizionale, che fu riconosciuto
e successivamente rovesciato dall'Età Moderna, l'economia aveva una
qualificazione secondaria: era il campo delle conseguenze, la sfera della
coagulazione delle più sottili e tenui relazioni. L'ontologia
dell'economia era un caso particolare dell'ontologia della società
(politica) e questa a sua volta un caso particolare dell'ontologia della
Chiesa. La vita era concentrata sui mondi sottili dello spirito, sui dogmi
teologici, sui culti, sulle basi sacre delle istituzioni sociali. Il mondo
delle cose e il loro moto circolare, i cicli dei bisogni primari e delle
reazioni elementari erano considerati la periferia dell'ontologia, l'area
dei fenomeni più arbitrari e casuali. L'economia in quanto tale non poteva
essere fondamentale e la logica autonoma di mercato era in permanenza bloccata
da istanze più elevate che obbedivano ad un piano di priorità diverse,
connesse con un sistema di idee rigidamente dominante su tutto il sistema
delle cose. L'uomo e la sua economia erano strumenti dell'ontologia e non
i suoi poli costitutivi.
L'Età Moderna in sè è stata l'unico periodo di evaporazione di
fondamentali differenti – i fondamentali della società tradizionale. Questi
fondamentali non sono svaniti per sempre (perciò noi parliamo di
"evaporazione", invece che di cancellazione), ma hanno intercambiato la
loro natura, essendo impersonati in qualcosa di diverso. Fino a quell'epoca
incerta e dipendente fisicamente dalla volontà dei nobili, leggera come la
spuma delle onde che dondola le navi dei mercanti, l'autonoma logica
borghese iniziò a trasformarsi nel solido basamento della nuova società. I
valori dell'aristocrazia iniziarono ad avere un nuovo equivalente, valore ed
onore ricevettero un nuovo significato. Ogni questione cominciò ad essere
misurata in base al suo prezzo. Cicli economici e strumenti monetari divennero
la misura comune, sostituendo lo spirito, la conoscenza, la volontà, la
forza. L'ontologia della società tradizionale fu dissolta. Sembrò allora
che questa fase di nichilismo significasse la "fine del mondo".
Irriducibili conservatori profetizzarono che un mondo senza fondamentali non
sarebbe durato a lungo …
La storia ha dimostrato, comunque, che i nuovi sistemi di valori sono
ampiamente in grado di condensarsi in qualcosa di relativamente solido e le
epoche dell'inizio del capitalismo, della sua espansione, della sua
materializzazione, della sua penetrazione in tutti gli angoli della vita umana
e delle istituzioni sociali hanno generato un quadro su vasta scala della sua
stabilità dinamica. I fondamentali dell'equilibrio di mercato hanno
superato molte sfide. Il Marxismo, i cui accenti furono posti su una
valutazione etica del cambiamento socio-politico – andando per la via
opposta rispetto a coloro che, senza alcuna speciale riflessione, procedevano
lungo la via maestra del capitalismo – è stato sconfitto con grande
difficoltà e a prezzo di costi incredibili. E proprio in quel momento, quando
la vittoria sul marxismo si prospettava definitiva e l'eredità dell'Età
Moderna senza alternative era andata verso il sistema liberal-capitalista, di
nuovo all'ordine del giorno vi era il problema di un serio mutamento
qualitativo dell'ontologia del capitalismo – verso il lato della logica
virtuale del turbo-capitalismo, dei labirinti paradossali della "new economy".
Da una parte, la deontologizzazione del capitale viene rappresentata
come un fenomeno disastroso. Dall'altra, essa è un processo oggettivo: l'ontologizzazione
autonoma dell'economia, implicitamente già presente nei classici ed alla
fine riconosciuta da Marx (in un sistema etico alternativo di coordinate),
significò la deontologizzazione del più enorme sistema di valori della
società tradizionale, in cui i mondi degli oggetti materiali non erano che
all'estrema periferia. Questi oggetti ed i loro cicli ("le trappole del
prodotto" – Hakim Bay) sembrano una piccola realtà piuttosto relativa, a
paragone dell'ontologia massimamente spirituale e poi politico-feudale delle
società tradizionali. Allora la sfera dei principi metafisici era considerata
incondizionatamente reale e autentica, mentre il campo economico era una sfera
secondaria e casuale. Questo significa che il modello economico poteva essere
cambiato (e consacrato o forzato) a seconda delle più profonde tendenze
sociali.
La transizione al sistema borghese separò l'economia da quei
fondamentali alla cui partecipazione essa era prima destinata. Accadde
qualcosa di interessante nel mondo dell'argomento su cui stiamo indagando:
nella società tradizionale la realtà era un segno (prevaleva anche in un
Cattolicesimo tomistico-aristotelico, invece del nominalismo pre-borghese di
Roscellier-Ockam). Anche questo segno produceva l'ontologia della cosa, come
la sua anima. Echi dell'ontologia del segno si possono incontrare anche in
Paracelsus e in Jakob Boehme - signatura rerum. Queste "signature" erano
la quintessenza di una produzione ontologica della realtà di
"rerum" (cose) strettamente parlando. Traducendo dal latino: l'
"essere cosa" delle cose era non reale (=simili al segno). La transizione
dai segni vivi e dai loro sistemi (incarnati dalla teologia del clero e
dall'araldica guerriera) verso i sistemi di cose fu la precisa espressione
del "terzo stato" – quello che generò la moderna economia politica ed
un'ontologia applicabile ad essa. Fondamentali divennero i fondamentali dei
mercanti. Ai loro tempi essi non
erano meno avanzati e audaci delle teorie dei moderni apologeti dell'
"analisi tecnica" di borsa.
Da tutte queste considerazioni, ne segue che la "new economy",
corrodendo quei fondamentali che ci sono stati familiari in questi ultimi
secoli, sta facendo qualcosa di simile a ciò che accadde quando quei
fondamentali si affermarono per la prima volta. Nel turbo-capitalismo noi non
raggiungiamo semplicemente i confini dell'ontologia, bensì i confini
dell'ontologia del terzo stato, i limiti del sistema borghese delle misure.
E la stessa "new economy" non è ancora una nuova era – è una sfida
ambigua e pluri-significante dire addio al vecchio, ma non offrire nello
stesso tempo niente di nuovo. Già all'orizzonte della "new economy"
appaiono confusamente figure virtuali assolutamente non familiari e insolite -
"Lawnowerman", che vivono nei computer o cloni umani mutanti.
Contemporaneamente, vi sono delle curiose situazioni di semi-restaurazione
nella "new economy" – erodendo il sistema delle cose ed evocando un
sistema di segni, in cui l'elemento essenziale non è tanto il possesso,
quanto la contemplazione e la simulazione sensoriale (da qui la proliferazione
di narcotici, network televisivi e giochi per computer), il turbo-capitalismo
porta la realtà in movimento e corporea, fuori dalle ristrette strutture del
materiale e dalle catene razionali, dall'alternarsi di domanda-offerta. In
verità, i tradizionalisti integrali (R.Guénon) dicono che la presente fase
di post-materialismo corrisponde all' "apertura dell'uovo cosmico dal di
sotto", mentre nell'epoca delle società tradizionali esso era aperto
dalla parte superiore e, in seguito, (durante il capitalismo classico) esso
era chiuso da tutte le parti. Ed in verità, i segni nella società
tradizionale svolgevano un ruolo essenzialmente differente, rispetto alla
pubblicità moderna ed ai marchi commerciali. Comunque queste differenze sono
relative: nelle società orientali, dove i motivi tradizionali non sono mai
stati completamente cancellati, gli elementi post-moderni si combinano assai
facilmente con le reliquie pre-moderne. E' molto significativo in questo
senso il Giappone, dove le più recenti tecnologie sono elegantemente
inscritte nel politeismo scintoista e il gioco di borsa è intrecciato con la
meditazione buddhista zen – la teoria sulla "lettura dei grafici di
mercato" attraverso associazioni visive – le "candele", "la buddhi a
cinque punte" dei brokers di Tokyo, etc.
Il processo di evaporazione dei fondamentali nella "new economy"
giunge abbastanza facilmente alla fissazione. Molto più complesso è definire
quale sarà l'esito.
Produrrà qualcosa di nuovo? O crollerà, non essendo in grado di
rimanere sull'orlo della tensione – in quanto la proliferazione
nell'orizzonte umano di nuove tecnologie, di macchine automatiche, di
virtualizzazione ed ingegneria genetica viene messa in questione? Terrorizzata
per dove la sta portando la sua logica di desacralizzazione, ritornerà
l'umanità a ciò che ha sconsideratamente abbandonato
alla soglia dell'Età Moderna? Diventerà la sfera della "new
economy" un terreno di battaglia tra differenti tendenze geopolitiche,
culturali e di civiltà?
Abbiamo detto in precedenza che noi ci troviamo di fronte al
"passaggio da un sistema di cose ad un sistema di segni". Vi è un punto
debole in questa espressione: questo nuovo "sistema di segni" sarà un
vero sistema, cioè una struttura ordinata gerarchicamente? E in tale caso,
secondo quali criteri?
Questo è un problema aperto, alla cui soluzione noi tutti dovremmo
contribuire.
Novembre 2001
Originale pubblicato su "Arctogaia"
http://www.arctogaia.com/
e "Eurasia" http://eurasia.com.ru/
Traduzione dalla versione inglese pubblicata da Archivio Eurasia
http://utenti.tripod.it/ArchivEurasia/index.html
a cura di "Belgicus"