Dolly, non fu vera gloria

Sette anni fa in Scozia nasceva Dolly, il primo clone di un adulto. L'anno scorso i suoi
creatori diffusero la notizia che soffriva di un'insolita e grave forma d'artrite: in caso di peggioramento, sarebbe stato necessario sopprimerla. Poche settimane fa, in seguito a inattese complicazioni polmonari, una eutanasia ha chiuso la sua esistenza. Dal punto di vista mediatico Dolly è stato uno shock globale. Da quello scientifico una ricerca disastrata dall'inizio alla fine. Dolly entra in scena un anno dopo Megan e Morag, clonati nello stesso laboratorio. Il lavoro sui due agnellini uscì su "Nature", senza l'onore della copertina (gli autori lo ritenevano superiore a Dolly, che lŽebbe) ma con una lunga nota di commento, comunque segno di prestigio. La scrisse uno dei pionieri della clonazione, Solter, prescelto anche per aver dichiarato anni prima che la clonazione era impossibile: una sentenza coraggiosa in biologia, dove la norma è "mai dire mai". Quindi, quale miglior apostolo per la nuova clonazione dell'affossatore della vecchia? Infatti, se clonare fosse davvero possibile, all'umanità s'aprirebbero nuovi fantastici orizzonti. Con Dolly, poi con Polly, pecora transgenica clonata, quindi con altri cloni animali variamente manipolati, si perfezionerebbe il controllo artificiale della vita, si completerebbe la parabola aperta dall'ingegneria genetica negli Anni 60. Tra i primi testamenti di questo mondo nuovo, c'è un ponderoso tomo di Judson, dall'inequivocabile titolo "L'ottavo giorno della creazione". Lo stesso fervore evangelico anima una breve cronaca del lancio di Dolly, firmata nientemeno dal suo creatore, Ian Wilmut: esce a marzo del `97 su "New Scientist" con un titolo altrettanto impegnativo, "Sette giorni che sconvolsero il mondo". Alla mitizzazione del clone collabora anche un noto biologo della Yale University, Silver: ne "Il paradiso clonato" spiega che Dolly altro è "?l'agnello di Dio che attraverso la "riprogenetica" entro il 3000 porterà a un'umanità di cloni "genedotati"". Ma la testimonianza di gran lunga più autorevole è "La seconda creazione": con Wilmut la firma l'altro padre di Dolly, Campbell. È anche da questo clima di esaltazione che nascono le recenti aberrazioni dei raeliani. Ma in giro serpeggia un po' di scetticismo. Ai Solter e ai Silver sfugge che gli esperimenti sui cloni non sono gran che. Ad esempio il lavoro su Megan e Morag è debole: si basa su un tracciato elettroforetico inadeguato, che pure "Nature" pubblica e Solter promuove. Ma il loro impatto mediatico fu basso: erano sì cloni, ma di feti. Ben altro doveva essere il caso di Dolly, clone di un adulto. Il suo lancio mondiale fu davvero sensazionale: ma vi concorsero operazioni poco corrette, come orchestrate fughe di notizie. Mai uno scoop scientifico-mediatico fu preparato con maggior cura del caso Dolly. Una simile attenzione sarebbe dovuta andare agli esperimenti, commentò Gardner, stimato embriologo inglese. Infatti l'articolo su Dolly era criticabile e non solo per i suoi svarioni editoriali: persino la copertina era sbagliata. Le poche riserve espresse (una su queste colonne) si persero in un caos emotivo, che virava dalla condanna all'esaltazione. Ci volle quasi un anno per focalizzare domande più precise: all'inizio del `98 "Science" pubblicava una lettera firmata da me e dall'americano Zinder. Elencava le gravi carenze sperimentali e concettuali del lavoro su Dolly. La replica ebbe un tono insolitamente dimesso e a sorpresa non portava la firma di tutti e cinque gli autori contestati, bensì solo dei due principali (Wilmut e Campbell). Nella ricerca contestazioni come la nostra sono frequenti: che tra gli autori qualcuno non sottoscriva la replica è invece raro. "Science" non diede seguito alla nostra protesta. Un poŽ per volta arrivano alcuni dei controlli richiesti: impronte di DNA, telomeri, mitocondri. Come già per il lavoro originale i dati sono deboli, ma li pubblica "Nature". In realtà la loro credibilità poggia su altre anomalie: testimonianze, giuramenti, atti notarili. Elementi estranei alla scienza e conseguenti a un'improvvida decisione presa a suo tempo dai clonatori: avevano soppresso (c'è chi dice mangiato) la madre-gemella di Dolly. Ecco perché le "prove" che i confronti fossero realmente tra Dolly e la donatrice richiedevano assurdi timbri e carte bollate. Ecco perché le impronte del DNA di Dolly vennero subito pubblicate insieme con un lavoro sulla tanto attesa clonazione dei topi (quella "impossibile", secondo Solter), arrivato a "Nature" ben sette mesi prima, dopo esser stato rifiutato da "Science": ma lŽattesa fu premiata con il duplice onore della copertina e del commento (del solito Solter). Ecco perché l'eutanasia di Dolly, comprensibile sul piano dei sentimenti, scientificamente è una diabolica ripetizione di un errore grave e riconosciuto come tale dagli stessi clonatori. C'è chi parla di eliminazione di tracce: comunque impedisce l'approfondimento delle inquietanti patologie da clonazione. Che si conferma impraticabile, se non impossibile: con le scimmie non è mai nato un clone vivo. Che avesse ragione Solter, alla fine? Non a caso Wilmut si affanna a sconsigliarla e "Nature" a condannarne le applicazioni all'uomo, esaltate ai tempi di Dolly. In fondo quello che la povera Dolly ha potuto dare, l'ha dato: poco alla ricerca, ma tanto a ricercatori altrimenti oscuri. Molti ora sono felici di liberarsene. Tanto più che nel frattempo della clonazione umana si sono impossessati imbroglioni di varia natura. Come in un vero giallo, ci sono cadaveri scomparsi, sette religiose, pseudo-scienziati, speculazioni, cloni (pochi). C'è anche un movente per un'eutanasia annunciata.

(*)Università della Calabria
Vittorio Sgaramella (*)

Fonte:
http://www.lastampa.it/ ; Chucara2000
Carmelo Scuderi
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