Gli ufficiali dell'esercito Usa spiegano perché sarà perduta la

guerra all'Iraq

La vittoria sull'Iraq sarà facile, ma non la successiva

amministrazione militare. Notizie e analisi tratte dalla rivista

della Scuola di guerra dell'esercito Usa

di S. Cumbo

Perché l'America perderà

Gli Stati Uniti? "Votati alla sconfitta", prevede John Gentry. Ex

maggiore delle Forze Speciali con esperienze operative in Bosnia e

nelle Filippine, Gentry non è un pacifista. Ed è riuscito a far

pubblicare il suo articolo ferocemente critico delle forze armate Usa

("Votati alla sconfitta: la cieca fiducia americana nella tecnologia

militare") su Parameters: che non è una rivista antiamericana,

essendo il quadrimestrale della Scuola di Guerra dell'Us Army. E' un

segnale significativo. Al contrario dei civili guerrafondai, tutti ex

dirigenti delle industrie private dell'armamento (Rumsfeld,

Wolfowitz, Perle) che comandano al Pentagono, i professionisti della

guerra vogliono far sapere che l'America non ha i mezzi militari per

sostenere le sue mire imperiali.

La vittoria sull'Iraq sarà facile. Non così, dicono gli esperti, la

seguente necessaria amministrazione militare, ossia l'occupazione. I

falchi, ottimisti, credono che basteranno 50mila uomini per un anno a

portare "la democrazia in Iraq". Più realisticamente, le forze armate

britanniche sono state avvertite di prepararsi a un'occupazione

almeno triennale. Eliminato Saddam che tiene unito con la sua mano di

ferro un Paese pullulante di frazioni etniche e religiose, per i

servizi inglesi sono da prevedere "conflitti civili simultanei in

tutto l'Irak". L'occupazione non sarà pacifica né incontrastata. Ci

sono gli uomini sufficienti per la riabilitazione delle

infrastrutture, l'amministrazione civile, la polizia militare e

insieme probabili conflitti urbani a bassa intensità, ossia per

affrontare i compiti di un'occupazione di lunga durata?

Tanto più se "dopo l'Irak toccherà all'Iran e alla Siria", come ha

proclamato il viceministro della Difesa John Bolton (un altro dei

falchi) alla fine di un colloquio con Sharon a metà febbraio scorso.

La prospettiva dà i brividi allo Stato Maggiore, che ha lasciato

filtrare le sue ansie a Jason Vest, il giornalista di The Nation con

i migliori contatti nell'ambiente militare.

Chi occuperà il paese?

Già nell'agosto 2002, ha rivelato Vest, una conferenza interna all'Us

Army segnalava che i due terzi delle Forze Speciali sono già sparse

in impieghi bellici in 85 Paesi, e questo sia detto per le truppe di

elites. Quanto alla fanteria non d'elite, necessaria per

un'occupazione di lunga durata, la forza attuale è più che dimezzata

rispetto ai tempi del Vietnam. "Molte delle specialità e servizi

essenziali a vincere la guerra globale contro il terrorismo sono

sotto organico... il ritmo di accresciuto spiegamento richiesto dopo

l'11 settembre non può essere sostenuto con le attuali strutture".

Lingua di legno bisognosa di traduzione. A tradurla per Jason Vest è

Mark Lewis (non un pacifista: è un ex ufficiale dei

Rangers): "L'esercito americano manca di migliaia di capitani",

esemplifica Lewis, cioè degli ufficiali del grado più cruciale. "I

capitani sono i comandanti più vicini alla truppa in caserma,

nell'addestramento e nel combattimento. Ebbene, il numero di capitani

che hanno lasciato l'Us Army è raddoppiato fra il 1995 e il 2001".

Perché? Lewis accusa le riforme delle carriere militari. "Rimodellate

su modelli efficientisti di gestione del personale proprie alle

imprese private, hanno creato una situazione che scoraggia gli

ufficiali a passare più tempo coi soldati, mentre li incentiva a

partecipare ai più diversi "corsi di specializzazione", che fanno

punteggio per la carriera". Lo conferma un rapporto del 2002 stilato

non da pacifisti ma dalla Rand, l'istituto di studi strategici vicino

al complesso militare-industriale: nell'ultimo decennio, per i nuovi

ufficiali, il tempo di addestramento sul campo s'è ridotto della metà.

I politici falchi che comandano sul Pentagono hanno annunciato la

loro soluzione al problema della scarsità dei quadri: sarà accelerata

la promozione dei tenenti a capitani. Ciò equivale, commenta Donald

Vandergriff, a "gettare ufficiali non abbastanza sperimentati in

situazioni dove possono essere soverchiati dagli eventi" bellici.

Nemmeno Vandergriff è un pacifista: ha il grado di maggiore ed ha

scritto un saggio dal titolo Path to Victory, per denunciare

l'addestramento manchevole delle truppe di terra americane.

Il suo timore è ben fondato, Anche la Military Review (non una

rivista antiamericana bensì la pubblicazione ufficiale dell'Army

Command) ha rivisitato la sfortunata "Operazione Anaconda" del marzo

scorso in Afghanistan. Dove truppe "mal equipaggiate e non addestrate

specificamente" per la guerra di montagna sono state mandate su cime

di tremila metri contro le residue forze di Al-Qaeda e talebane.

Lungi dall'essere schiacciati dalla presunta superiorità americana, i

guerriglieri islamici sotto attacco sono stati capaci di

riorganizzarsi, rinforzare le posizioni e poi di "scomparire" in una

ritirata magistrale senza gravi perdite.

I comandi supremi credettero di poter compensare alla scarsa qualità

della fanteria Usa con le meraviglie della tecnologia militare

venduta a caro prezzo al Pentagono dalle industrie di armamento. I

commandos a terra dovevano semplicemente "illuminare" le posizioni

nemiche con puntatori al laser o agli infrarossi, sì da guidare le

bombe "intelligenti" lanciate dall'aviazione. In realtà, come

assevera un rapporto dell'Istituto di Studi Strategici della Scuola

di Guerra di Fanteria (Us Army War College), "più di metà delle

posizioni del nemico sono sfuggite alla sorveglianza elettronica dal

cielo". La guerra non è un videogioco, specie sul terreno

afghano "estremamente complesso e ricco di ripari naturali". Inoltre,

anche quando le posizioni avversarie erano identificate, le

munizioni "a guida di precisione" (Pgm) lanciate contro di essere

hanno mancato di distruggerle. Le Pgm si sono mostrate "efficacemente

letali" contro gruppi sorpresi allo scoperto o ammassati, ma

inefficaci contro "posizioni di combattimento ben preparate". In

generale, "Al-Qaeda è sopravvissuta a numerosi attacchi di bombe

intelligenti".

Bombe intelligenti, soldati no

Somalia 1993, Black Hawk Down: armatissimi commandos americani

trasportati da elicotteri dotati delle più avanzate tecnologie (Black

Hawk) vengono sorpresi, sopraffatti e massacrati. Le comunicazioni

fra i guerriglieri somali non erano state intercettate dai

sofisticati apparecchi Usa perché a bassissima tecnologia: telefonini

o scritte sui muri in lingua ahmara. Serbia 1999: l'antiquato

esercito serbo esce intatto da settimane di bombardamenti aerei della

Nato. Le bombe intelligenti hanno colpito per lo più dei "decoy",

sagome di carri armati di cartone e stagnola approntati dai serbi per

ingannare i piloti americani e i loro strumenti.

Guerra del Golfo, 1991: è andata meglio. Ma in condizioni

militarmente "anormali": gli Usa hanno potuto ammassare forze per sei

mesi senza essere contrastati, avevano di fronte un esercito

iracheno "demoralizzato" e hanno potuto attaccare quando è piaciuto

loro. E nel piatto deserto, il solo ambiente "veramente adatto

all'uso di munizioni di precisione", ossia di bombe intelligenti.

Lo ha ricordato ancora su Parameters l'ex maggiore John Gentry: "La

cieca fiducia americana nella tecnologia militare" è "votata al

fallimento" (doomed to fail). Nelle future guerre contro il

terrorismo, come s'è già visto in Afghanistan, la potenza americana

può rivelare tutte le sue falle esponendosi a sorprese amarissime.

I prossimi conflitti infatti, dice Gentry, saranno "operazioni

complesse civili-militari", in ambienti umani "nient'affatto semplici

dal punto di vista culturale e politico". A vincere queste

operazioni, "la tecnologia contribuisce sostanzialmente nulla. Non ci

sono sensori elettronici che possano identificare le motivazioni dei

popoli, i sentimenti degli occupati, né valutare la tenuta di

organizzazioni umane" etnicamente o religiosamente coese. Niente può

sostituire "l'adeguata conoscenza previa e la comprensione

dell'ambiente umano" da parte delle truppe di terra.

Il ruolo dell'outsourcing

Il fatto è che il Pentagono non solo manca di queste competenze, ma

positivamente nutre "il disdegno" per questo tipo di comprensione dei

popoli che si prepara ad amministrare. A dirlo non è un anti-

americano: è Robert Barry, il diplomatico statunitense che ha guidato

la missione Osce in Bosnia dal '98 al 2001, e dunque ha chiara

coscienza delle difficoltà di un'occupazione. In Bosnia, dice

Barry, "dopo sei anni di presenza americana e 100 miliardi di dollari

spesi, pace e prosperità sono ancora lontane". In Bosnia, là dove i

soldati tedeschi, olandesi e italiani sono visti dalla popolazione

come gente che dà una mano, nelle aree sotto controllo Usa i soldati

americani sono detestati. Secondo un alto ufficiale

inglese, "trattano i nativi come pellerossa, e la popolazione come

composta di banditi".

Barry dunque si preoccupa per la futura occupazione dell'Iraq, "non

vedo segni di una seria preparazione a questo compito", dice.

Anch'egli è sicuro che la truppa americana e britannica non sia

sufficiente, né in numero né in qualità, per sostenere un'occupazione

durevole.

Donald Rumsfeld, il ministro della Difesa che viene dall'industria

militare, ha una soluzione tipicamente manageriale e privatistica per

queste lacune dell'esercito di Stato: l'outsourcing. Appaltare quanti

più possibili compiti militari alle "ditte militari private" (Private

Military Corporations, Pmc) sorte come funghi negli Stati Uniti. Si

tratta di organizzazioni di mercenari, create da generali e

colonnelli a riposo, e che strappano lucrosi contratti per operazioni

speciali o "coperte". La più importante, la Military Professional

Resources, è fondata dal generale Carl Vuono, già capo di S. M.

durante la guerra del Golfo e dal suo ex vice, generale a riposo Ron

Griffith. Nel '94, ha avuto dal governo Usa un contratto per

addestrare le truppe croate, le quali hanno poi strappato la regione

detta Krajna alla Serbia. Oggi, i cinquemila "volontari irakeni" che

parteciperanno alla guerra contro Saddam sono addestrati (in

Ungheria) dalla Kellog, Brown & Root, azienda di guerrieri a noleggio

che - fatto significativo - è una sussidiaria della Halliburton, il

gigante petrolifero di cui è stato presidente Dick Cheney prima di

diventare vicepresidente degli Stati Uniti (le petrolifere si sono

dotate di loro "servizi armati" per la difesa degli impianti in Paesi

difficili). Un'altra, la DynCorp, ha strappato l'appalto per

condurre, in vece dell'esercito Usa, la "guerra alla coca" in

Colombia, con aerei ed elicotteri armati; ed ora è la DynCorp che

fornisce la sicurezza personale a Karzai, il presidente-fantoccio che

gli americani hanno dato all'Afghanistan. Le varie "ditte private"

americane possono mobilitare, nell'insieme, almeno 35 mila

specialisti" per operazioni di ogni genere, in segreto, senza

preavviso - e senza controllo democratico. Per questo Rumsfeld le

preferisce. Si calcola che, delle truppe americane usate in Desert

Storm, il 10 per cento fossero in realtà civili in armi, dipendenti

di queste ditte.

Ma c'è chi autorevolmente dubita che mercenari motivati dal lucro

siano alla pari dei compiti di "nation-building" (ricostruzione della

vita civile) per cui saranno impiegate in Irak. In Bosnia, la DynCorp

è riuscita a malapena a soffocare uno scandalo: i suoi guerrieri

avevano organizzato un traffico di donne. In Colombia, anche peggio:

dipendenti della ditta avevano messo su per conto loro un commercio

di cocaina. Il loro impiego suscita in ogni caso inquietanti

interrogativi non solo etici, o politici, ma legali. Queste forze non

sono tenute alla disciplina militare e sono irresponsabili rispetto

alla "catena di comando" dell'Army. Inoltre: che si fa se uno di

questi guerrieri privati - giuridicamente un civile - viene catturato

con le armi in pugno dal nemico? Non si possono invocare a suo favore

le convenzioni riguardanti i prigionieri di guerra; per queste

convenzioni, sono partigiani illegittimi, passibili di esecuzione

immediata.

Quanto alle loro reali capacità belliche se le cose si mettono male,

è tutta da dimostrare. Il generale John Shalikashvili, che guidò lo

Stato Maggiore Riunito durante Desert Storm, ha ammonito che la

professione della guerra, quella vera, non potrà mai essere trattata

come una qualunque "produzione di servizi di sicurezza", come quella

fornita dalle guardie giurate, e dunque appaltabile a privati. La

guerra vera, ha detto Shalikashvili, "esige dai militari dedizione

straordinaria e sacrificio nelle condizioni più avverse": ossia

l'accettazione, in via di principio, della morte per obbedienza agli

ordini. Qualcosa che esula completamente dal business.

Il colonnello Charles Dunlap, un geniale intellettuale militare, ha

detto anche di più in un saggio (che è anche un racconto di

fantapolitica) pubblicato non da un giornale pacifista, ma a cura

dell'Usaf Institute for National Security Studies. Dunlap immagina

che, in un prossimo futuro, un Pentagono sempre più interessato a

business, politica e dominato da idee manageriali tipo "Qualità

Totale", finirà per appaltare "le sgradevoli e pericolose attività

della guerra, necessarie ma sporche" a una ditta privata, la Vaic

(Violence Applications International Corporation). Mercenari pagati

come dipendenti dai generali a riposo che hanno fondato la ditta.

Nel 2010, scoppia la seconda Guerra del Golfo: guerra vera. "E quando

il Decimo Corpo Corazzato Iraniano cominciò la sua leggendaria

avanzata schiacciando ogni cosa davanti a sé, i dipendenti della Vaic

vennero meno al contratto e si dispersero. La lealtà aziendale,

apparentemente, ha i suoi limiti", ironizza Dunlap. Due anni dopo

però, prosegue il suo racconto fantapolitico, quei mercenari, assunti

dai politicanti del Pentagono, sono la forza operativa che conduce a

termine un colpo di Stato "militare". L'America ha perso la sua

libertà.

La profezia e l'apologo attendono di realizzarsi nelle prossime

guerre "contro il terrorismo"? L'ammonimento almeno è chiaro: le

ditte di mercenari nate in Usa e alimentate dai "contratti" con la

Difesa sono un pericolo potenzialmente putchista. Anzi forse, qui, la

profezia si è già avverata: la democrazia in America non sembra più

tanto viva.

Aleksandr Minak

 

Fonte:

http://www.liberazione.it/giornale/030228/LB12D691.asp