Da La Gazzetta di Parma, a cura di margherita Campaniolo

Intervista con il celebre psicobiologo, autore del saggio "Dove ci porta la scienza" (Laterza)
Cloni senza frontiere
Alberto Oliverio: "Attenzione all'uomo-macchina"

Quando, pochi mesi fa, Brigitte Boisselier, direttrice della Clonaid e seguace della setta dei Raeliani, annunciò la nascita della prima bambina clonata, un brivido di orrore percorse il mondo intero. La notizia fu commentata in convegni scientifici e talk-show televisivi, in commissioni di bioetica e circoli culturali, nelle università e nei bar, per poi essere archiviata come l'ennesima "bufala" diffusa da un gruppo di esaltati per farsi un po' di pubblicità. Ma che sia nata o meno, quella sorellina umana della pecora Dolly continua ad agitarsi nelle nostre coscienze come uno spettro, simbolo dei numerosi dilemmi morali che la scienza oggi ci pone: ingegneria genetica, biotecnologie, neuroscienze e intelligenza artificiale stanno trasformando radicalmente la nostra concezione del mondo e della natura umana, offrendoci un'onnipotenza tecnico-scientifica che se da una parte costituisce l'avverarsi di un antico sogno dell'uomo, dall'altra è fonte di angosciose incertezze.
Di queste incertezze parliamo con Alberto Oliverio, autore del saggio "Dove ci porta la scienza" (Laterza, 156 pagine, 12,00 euro), nel quale lo studioso, docente di Psicobiologia all'Università "La Sapienza" di Roma, tenta di definire il confine tra le incredibili opportunità aperte dalle ultime scoperte scientifiche e i rischi che esse portano con sé.

Professor Oliverio, mai come oggi la scienza è apparsa tanto onnipotente e suscitato tante perplessità morali. Il progresso fa paura?

"Il progresso è per sua natura ambivalente, perché per portare benessere e prosperità chiede immancabilmente qualcosa in cambio. L'uomo ha sempre cercato di controllare la natura, compresa la natura umana. Anche in epoche in cui si pensa esistesse un'armonia tra uomo e natura, come l'età del bronzo, gli uomini incendiavano i boschi per lasciare spazio a case e campi coltivati, andavano a caccia e sfruttavano insensatamente le risorse naturali. Mentre tentava di contrastare o piegare ai suoi fini le leggi della natura, e combatteva contro le malattie e la vecchiaia, l'uomo ha cominciato a rendersi conto che i suoi interventi sul mondo che lo circondava potevano avere conseguenze incontrollabili. Così si formarono due scuole di pensiero, che hanno attraversato le epoche fino ad oggi: da una parte la concezione romantica, che difende la purezza incontaminata della natura contro ogni manipolazione esterna, e dall'altra quella razionalistica, che punta a trarre dalla natura i mezzi per il miglioramento della vita umana".

Una delle scienze che suscita maggiori dilemmi morali è la biologia. Clonazioni terapeutiche, fecondazioni artificiali e organismi geneticamente modificati hanno cambiato profondamente la concezione della natura umana?

"Con l'avvento delle tecnologie legate alla riproduzione, la nostra concezione dell'essere umano è diventata più aderente alla sua realtà biologica. E questo è un bene, perché ci ha resi più consapevoli dei meccanismi fisiologici che presiedono alla nascita di un essere umano o all'insorgere di alcune malattie. E' anche vero, però, che questo indubbio passo avanti, rendendo sempre più labile il confine tra mondo naturale e mondo artificiale, rischia di promuovere una concezione meccanicistica dell'uomo, visto come un essere fatto di parti che si possono togliere e sostituire a piacimento".

Un rischio che diventa ancor più grave quando si parla del rapporto tra mente e cervello. Le neuroscienze, infatti, oggi ci permettono di associare con sempre maggiore precisione ogni facoltà mentale a una determinata area del cervello. Ma la mente umana non è fatta solo di neuroni che si scambiano informazioni, attivando o disattivando le loro sinapsi.

"Ovviamente no. I progressi compiuti dalle neuroscienze negli ultimi anni ci hanno permesso di tracciare una mappa precisa del cervello umano e di stabilire la funzione di ogni sua parte, ma questo non ci autorizza a considerare l'organo vitale in cui hanno sede pensieri ed emozioni come una sorta di computer, di macchina che esiste solo in virtù dei nervi e delle cellule che la compongono. Anche quando gli scienziati potranno spiegare ogni più piccolo aspetto della nostra vita mentale in termini riduzionisti - individuando cioè con assoluta certezza la sede fisica della memoria e del linguaggio, dell'emozione e delle facoltà matematiche, - ci saranno sempre elementi che sfuggiranno a questa definizione e che obbligheranno la fisiologia a cedere il passo alla psicologia, la medicina ad abdicare in favore della filosofia della mente. Emozioni come desiderio e speranza, paura e imbarazzo, timidezza e intenzione non potranno mai essere ridotte all'area del cervello che si "accende" quando le proviamo. Esse appartengono a quella componente irrazionale della mente umana che non può essere spiegata dalle neuroscienze e che costituisce, in ultima analisi, la sua bellezza".

Che cos'è, professore, la mente?

"Io credo che la caratteristica che più di ogni altra definisce la mente umana sia la sua assoluta individualità e plasticità. La biologia tenta di ridurla ai suoi principi di base, come i meccanismi della memoria e dell'emozione, uguali in tutti gli individui; ma ogni singola mente è, sì, soggetta a regole ferree, ma nello stesso tempo è capace di contraddirle, di uscire per così dire da sé stessa, di adattarsi al mondo assumendone le molteplici forme".

Gli Ogm sono una risorsa o una minaccia?

"Gli organismi geneticamente modificati possono essere una grande risorsa per soddisfare il fabbisogno alimentare di una popolazione in costante crescita. Non credo che gli Ogm siano pericolosi: anche il genoma umano contiene geni estranei ad esso, di origine sia animale sia vegetale, tracce dell'evoluzione delle specie o portati da virus che dopo aver infettato una pianta o un animale ne hanno trasferito alcuni geni nell'uomo. Nella produzione di Ogm, perciò, gli scienziati non fanno altro che imitare la natura. Il rischio sotteso alla diffusione di colture ingegneristiche, dunque, non è connesso tanto alla sicurezza degli alimenti geneticamente modificati, quanto all'esportazione indiscriminata di un modello massificato in Paesi, come quelli del Terzo Mondo, che non possiedono le tecnologie adatte né le risorse necessarie per impiantare simili coltivazioni, e nei quali magari esistono già fiorenti colture di tipo tradizionale che devono essere salvaguardate".

In conclusione, qual è secondo lei oggi il compito della scienza?

"Il compito della scienza è di dare una delle spiegazioni possibili della realtà. Una spiegazione che, per quanto importante, non escluda altre forme di interpretazione. Compito della scienza è inoltre quello di fornire all'uomo non solo le tecnologie, ma anche la capacità di decidere razionalmente se servirsene o no. La scienza, da questo punto di vista, è una condizione della nostra libertà".