Indiana Jones al computer


Ricostruzioni in 3D. Georadar. Rilevatori termici. Videocamere lillipuziane. Viaggio tra le più sofisticate attrezzature

Gli Indiana Jones del 2003 non hanno cappelli a tese larghe, camicie stracciate e machete agganciati ai pantaloni. Gli Indiana Jones del 2003 viaggiano a bordo di fuoristrada colmi di sofisticate apparecchiature elettroniche, facendo attenzione che non si sporchino le lillipuziane videocamere che si infilano tra le pietre e non si deteriorino i software che trasformano una foto mezza buia in una perfetta ricostruzione tridimensionale. Lo scalpello? Ma sì, certo, da qualche parte nel borsone quello c'è ancora, ma sarebbe molto più grave perdere il magnetometro a protoni o magari il georadar.

L'archeologia, ricerca di tracce delle civiltà passate rimaste sepolte per secoli sotto la terra o in fondo al mare, è diventata una delle applicazioni più affascinanti della tecnologia, intesa sia come elettronica (nella strumentazione di bordo) sia come Internet (che consente, dovunque tu sia a scavare, il continuo raffronto con banche dati e studiosi in tutto il mondo).

L'ultimo esempio è il camion avveniristico che stanno attrezzando i due gemelli varesini Alfredo e Angelo Castiglioni. Ricercatori di fama internazionale, i Castiglioni sono appena partiti per una nuova spedizione nel deserto nubiano sudanese alla ricerca della Pista sacra dei Faraoni Neri: quella cioè che percorrevano i re nubiani che conquistarono l'Egitto, fondando la XXV dinastia (760-650 a.C.).

Entreranno in zone impervie e remote, prive di percorsi segnati, equipaggiati con quanto di meglio dispone la ricerca archeologica: dal banale ma indispensabile sestante elettronico (si basa sulla navigazione con Gps), alla cartografia satellitare, fino ai sistemi di prospezione geofisica come il magnetometro a protoni e il georadar (per capire se dietro una roccia o una pietra si nasconde qualcosa di interessante). In Italia i Castiglioni sono stati i pionieri della tecnoarcheologia e grazie ai primi sistemi di rilevamento forniti loro dalla Nasa hanno scoperto, sempre nella regione della Nubia, la mitica Berenice Pancrisia, antica città d'oro dei faraoni citata da Plinio il Vecchio. "In quel caso sfruttammo un'immagine digitale elaborata al computer da cui risultava la riflettanza nell'emissione infrarossa delle rocce", spiega Alfredo Castiglioni, "il che consentì il riconoscimento dei minerali nelle rocce e quindi confermò che la regione era ricca di oro". L'Eldorado dei Faraoni usciva così dalla leggenda.

L'uso delle tecnologie di tele-rilevamento non invasive (conosciute come "remote sensing") si sta facendo strada in tutte le spedizioni archeologiche. Un po' com'è avvenuto per Internet, anche queste tecniche erano state inizialmente sviluppate in ambito militare: è il caso della "thermal-imaging technology", o termografia, che utilizza raggi termici di varia lunghezza d'onda e su cui il dipartimento della Difesa americano ha investito e investe ingenti risorse. La termografia estende la percezione visiva oltre le normali condizioni, consentendo di vedere anche al buio, di spostarsi in mezzo alla polvere o al fumo, di identificare oggetti sotto terra.

Proprio la termografia, associata all'uso di altre tecnologie, come i rilevatori a ultrasuoni, sarà utilizzata da coloro che si ritengono i diretti discendenti dei Templari (riuniti attorno al moderno ordine dei Knights Templar) per esplorare le zone ancora segrete di un altro sito leggendario: la quattrocentesca Cappella di Rosslyn, rifugio scozzese dei cavalieri-monaci. La leggenda racconta che nei cunicoli che si snodano sotto la cappella si trovino decine di oggetti sacri, tra cui manoscritti dei Vangeli, l'Arca dell'Alleanza, il Santo Graal, persino una testa mummificata di Cristo. Ora la tecnologia potrebbe mettere il mito alla prova. "L'idea è quella di perlustrare il terreno sotto la cappella per una profondità di sei metri, per verificare l'esistenza di un sistema sotterraneo di volte", spiega lo scozzese John Ritchie, Gran Araldo e portavoce dei Knights Templar.

La strumentazione che in questi ultimi anni è stata di maggior aiuto ad archeologi e ricercatori del passato è il georadar (o Gpr), attraverso il quale è possibile compiere tele-rilevazioni particolarmente accurate. "È una tecnologia non invasiva e non distruttiva, che ben si presta a essere usata in aree archeologicamente importanti dove però gli scavi perlustrativi diventano difficili, perché magari si tratta di tombe o di aree protette, come i parchi nazionali", spiega Marco Giardino, scienziato della Nasa che spesso è andato in soccorso a team di archeologi: "Grazie al georadar per esempio sono state localizzate antiche tombe di capi indiani Mohawk nell'Illinois, è stata scoperta un'imbarcazione egizia nei pressi della Sfinge, sono state mappate le fondamenta originali della Torre di Pisa ed è stato recuperato un mammut rimasto per ventimila anni sotto i ghiacci siberiani". Ritrovamenti questi che ben poco hanno a che fare con le ragioni iniziali dello sviluppo di questa tecnologia: furono gli scienziati del Pentagono a mettere a punto il georadar durante la guerra del Vietnam, per scoprire i cunicoli in cui si annidavano i vietcong.

Un'altra applicazione tecnologica affascinante in campo archeologico è l'"imaging radar", un sistema di telerilevamento dai satelliti. L'imaging radar riesce a vedere attraverso strati di sabbia o di ghiaccio spessi anche due metri: ha permesso così di localizzare siti di enorme rilevanza archeologica ancora prima di dare il primo colpo di pala e piccone. La città perduta di Ubar, detta l'Atlantide araba del deserto, è stata scoperta in questo modo. A anche un tratto della Muraglia cinese, finito sepolto dalla sabbia del deserto cinese e l'antica capitale dell'impero khmer, Angkor, fagocitata dalla foresta tropicale della Cambogia, sono state riportate alla luce così.

Altrettanto importanti per il lavoro degli archeologi si sono rivelate le tecniche di simulazione al computer che consentono di ricostruire, in modo incredibilmente accurato, intere città sepolte, templi, mosaici e affreschi. "Il nostro lavoro viene molto facilitato dalle più recenti tecniche di 3D e di realtà virtuale", spiega David Wheatley, ricercatore all'Università di Southampton, specializzato nell'uso del computer per la soluzione di problemi archeologici.

Pochi giorni fa un gruppo di ricercatori dell'Ucla ha portato a termine la ricostruzione tridimensionale del cuore dell'Antica Roma: è la più complessa ricostruzione storica virtuale mai tentata. "Le nuove metodologie d'indagine hanno permesso di fare un salto qualitativo importante", spiega Mauro Cucarzi, direttore della Fondazione Carlo Maurilio Lerici, la prima istituzione creata per applicare metodi di indagine non invasivi in ambito archeologico. "Con i dati che ora possiamo ottenere, è possibile, grazie a software adeguati, creare modelli tridimensionali e simulazioni in realtà virtuale che danno esattamente l'idea di come sono le strutture sepolte e di come dovevano presentarsi nell'antichità".

La collaborazione tra esperti di tecnologie e specialisti di passato remoto si sta facendo sempre più intensa. Ne è un esempio recente l'utilizzo da parte del "National Geographic" di un robotino (messo a punto per cercare sopravvissuti fra le macerie delle Due Torri a New York) per perlustrare la parte finale dello strettissimo cunicolo che porta nelle viscere della piramide di Giza.

Anche nell'ambito dell'archeologia marina che la robotica ha portato contributi sostanziali, a partire dai Rov (Remotely operated vehicles), veicoli sottomarini telecomandati. È proprio utilizzando una coppia di Rov che Robert Ballard, già scopritore del Titanic, ha trovato nei fondali del Mar Nero il relitto ben conservato (con ponte e albero intatti) di un vascello lungo 300 metri affondato 1.500 anni fa di fronte alle coste turche. Un'evoluzione dei Rov sono gli Autonomous underwater vehicles (Auv), veri automi marini, una coppia dei quali, provvista di videocamere e di sonar ad alta risoluzione per la mappatura dei fondali, è già stata utilizzata per perlustrare un relitto nei pressi dell'isola di Nisyros, nel Dodecaneso, da David Mindell e il suo team del Mit di Boston, nel corso di un progetto di studio in acque profonde (anche oltre i 6 mila metri). "Gli Auv rivoluzioneranno la ricerca e le tecniche di scavo sottomarine", dice Dan Warren, archeologo marino della C&C Technologies, che ha messo a punto un Auv con il quale è stato ritrovato il sottomarino tedesco U-166, a lungo cercato e infine identificato nei pressi della sua ultima vittima, la nave passeggeri Robert E. Lee.

Ma c'è chi non si contenta di tombe egizie, muraglie cinesi e relitti. Sono quelli dell'Archaeology, Astronautics and Seti Research Association di San Francisco. Gente convinta che la vita sia stata portata dagli extraterrestri. E vuole usare le stesse tecnologie degli archeologi per studiare, confrontare e ricostruire in 3D fossili, ossa e forme di vita promordiale, in modo da dimostrare il loro eccentrico teorema. Ma qui si cambia film. E da "Indiana Jones" si passa a "E. T.".
   

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Fonte: L'Espresso Online  

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