Piccole scimmie robot crescono

Di M. Campaniolo

L'ultimo progresso di Lucy è stato quello di riuscire a indicare una banana dopo averne visto la foto. Ma per Stephen Grand, il suo orgogliosissimo papà, questa scimmietta robot ha già dimostrato di essere abbastanza intelligente da poter, in futuro, essere iscritta all'asilo. Grand, autore del libro Creation: Life and How to Make It, si autodefinisce "il Dio del digitale". È stato proclamato la maggiore mente d'Inghilterra, ed è considerato uno dei diciotto scienziati al mondo le cui teorie con tutta probabilità rivoluzioneranno entro la fine del prossimo secolo il nostro modo di vivere e di pensare. Negli ultimi tre anni ha lavorato appunto a Lucy, un robot dalle facoltà mentali in continua evoluzione. "La mia Lucy è stupida", spiega, "ma a un mese di vita lo era anche Einstein. La maggior parte degli automi nasce così e lo rimane. Il mio forse parte da un livello perfino inferiore, ma l'ho progettato in modo che possa svilupparsi e imparare, proprio come un bambino. Provando a costruire una vita nel modo più complesso - e cioè un pezzo alla volta - spero di riuscire finalmente ad afferrare l'intima essenza dell'intelligenza".

Di recente Grand ha ricevuto dal National Endowment for Science, Technology and the Arts il premio Dream Time Fellowship. Al momento è impegnato nel tentativo di migliorare le facoltà visive e uditive, la potenza e l'intelligenza della sua invenzione. Steve spera che Lucy impari a gattonare prima che a camminare, che cominci gradualmente a parlare, insomma che cresca come un qualsiasi altro cucciolo. La mente di questa scimmietta è stata progettata allo scopo di permettere l'analisi dei meccanismi attraverso i quali è possibile attribuire a una macchina il potere dell'immaginazione. Grand ha cercato quindi di riprodurre artificialmente i neuroni e le componenti biochimiche esistenti in natura. "L'importante era per me riuscire a verificare l'esattezza delle teorie sull'immaginazione e la formazione dei modelli mentali", spiega lo studioso. "Le ipotesi attualmente più diffuse danno tutte molta rilevanza all'elemento organico, perché l'immagine fisica è uno dei primi schemi mentali appresi dall'individuo: quindi era fondamentale decidere l'esatta disposizione spaziale degli arti di Lucy e distinguere con precisione i bit che facevano parte del suo corpo da quelli che invece avrebbero rappresentato il mondo esterno".

Mente, mistero senza fine?

L'obiettivo di Grand è l'elaborazione di un modello strutturale di mente artificiale che possa poi venire utilizzato nelle più diverse applicazioni. Per far questo, lo scienziato sta tentando di decodificare un particolare circuito di neuroni, collegati tra loro all'interno della corteccia cerebrale umana, sperando che da lì gli arrivi qualche idea risolutiva. Ma quante probabilità ci sono che ci riesca? "La difficoltà maggiore risiede nella complessità dei collegamenti mentali che egli spera di riprodurre. Il cervello umano è ancora un territorio pressocché inesplorato, e di quel poco che sappiamo in fondo non abbiamo capito granché", commenta Larry Yaeger, autore di PolyWorld e consulente scientifico della Apple. "Ma è possibile che la comprensione profonda delle interazioni tra neuroni e dei processi mentali che incarnano non sia poi così indispensabile. Forse le nostre lacune in tema di neuroanatomia non comprometteranno i suoi sforzi, proprio in virtù della loro limitatezza. Forse Grand riuscirà a progettare un sistema "sufficiente", capace di pensare e imparare come vuole lui. Perfino di immaginare, sì. Ma non è un traguardo da dare per scontato".

Gli scienziati sono ottimisti in materia di vita artificiale, ma molti ritengono che i successi più significativi in questo settore siano ancora lontani. "È facile mettere insieme un robot che assomigli a un bambino o a una scimmia", osserva a tale proposito Jordan Pollack della Brandeis University. "Questi piccoli automi sembrano veri e riescono spesso a ingannare l'osservatore inesperto. Ma c'è un errore: la legge di Moore, secondo la quale i software raddoppiano in poco tempo la propria velocità, non vuol dire che anche la capacità di progettazione aumenti allo stesso ritmo. La realtà è tutt'altra. Siamo ingenuamente portati a sottovalutare l'impegno intellettuale alla base di queste macchine biologiche. Il loro funzionamento ricalca i meccanismi naturali. Ma per rendere possibile tutto ciò ci vogliono decine di miliardi di componenti sofisticate che interagiscono tra loro in maniera estremamente complessa. Non è una bazzecola".
Wired News