L'ISOLA DI PASQUA

In un mare talmente blu da confondersi con il cielo infinito si trova Rapa

Nui, l'Isola di Pasqua, a 5000 km da Tahiti e a 2000 dalle piu' popolose

isole polinesiane. A 27 gradi di latitudine sud e a 110 di longitudine est,

Rapa Nui e' l'estrema punta orientale della Polinesia, l'ultimo avamposto

della civilta'. Triangolare, con tre grandi vulcani, il maggiore dei quali

e' il Rano Kao, e tanti crateri minori, Rapa Nui (Grossa rapa) ha un

perimetro di 60 km su 150 kmq di superficie.

Un puntino nell'immensita' dell'oceano ed una fonte di mistero che da sempre

ha infiammato la fantasia del scrittori e dei fans di 'Te pito o te henua',

l'ombelico del mondo.

L'enigma piu' grande che l'avvolge riguarda alcune centinaia di statue

gigantesche, i moai, ufficialmente scolpiti non si sa da chi e perche' e

realizzati con tecniche misteriose che gli isolani non potevano

assolutamente possedere. Queste enormi statue, alte sino a sei metri (ma ne

esistono alcune di ventidue), sono sparpagliate per tutta l'isola. Alcune

sono messe in fila lungo la costa, quasi a fissare minacciosamente i

naviganti, altre sono abbandonate sulla montagna, alcune coricate ed altre

lasciate incompiute nelle cave di materiale vulcanico. A cosa servissero

questi giganteschi monoliti non e' ancora stato chiarito, come non e' stato

ancora spiegato come facessero gli isolani a trascinare per alcuni

chilometri questi enormi pesi, dalla montagna vulcanica a valle. E,

soprattutto, come avrebbe dichiarato l'archeologo dilettante Enzo Valli

durante un dibattito televisivo su Rete Sette, "non si capisce come abbiano

fatto i pasquani a sollevare queste statue, alcune delle quali sono sepolte

sino alla vita nel terreno o sono scavate o conficcate in verticale nella

roccia. L'unico modo per estrarle consiste nel sollevarle. Ma in che modo,

senza pali e corde? L'isola, infatti, e' completamente brulla, spoglia di

vegetazione non dimentichiamoci poi che queste statue pesano alcune

tonnellate..." Della stessa opinione sarebbe stato il celebre divulgatore

Peter Kolosimo, che nei suoi libri aveva dichiarato: "Le statue dell'Isola

di Pasqua sono pesantissime ed e' impensabile che siano state erette

servendosi di rulli di legno. Gli ufficiali della nave da guerra Topaze, per

sollevarne una alta solo 2,5 metri, dovettero ricorrere ai mezzi piu'

moderni e ad oltre 500 uomini". "E se determinate persone avessero disposto,

in un'epoca passata, di forze elettromagnetiche o dell'antigravita'?" si

sarebbe chiesto l'etnologo Francis Maziere.

Di diverso parere sono due archeologi francesi insegnanti al Centro di

Ricerche Nazionali, Catherine e Michel Orliac, che molto piu'

realisticamente hanno dichiarato: "Una volta scavati sul vulcano Rano

Raraku, i giganti di pietra venivano trasportati sino agli 'ahu' (complessi

megalitici sacri), talvolta a piu' di dieci chilometri. Il modo con cui

furono trasportate le oltre 1000 statue erette nei santuari e' ancora

incerto. La tradizione orale non fornisce elementi tecnici soddisfacenti. I

pasquani invocano un capo mitico, Tuu Ko Ihu, il dio Make Make o ancora i

sacerdoti che ordinarono alle statue di camminare e di posarsi sui

rispettivi ahu. La mancanza di dati ha scatenato l'immaginazione, pure, il

peso delle statue e' stato sopravvalutato. Si e' parlato di 300, 400 o 500

tonnellate...Occorreva immaginare un sistema di sollevamento che

necessitasse di un minimo di legname, poiche' i primi visitatori europei

non avevano trovato che striminziti alberelli. In realta' i pasquani hanno

avuto il legname. Diverse ricerche hanno dimostrato che l'isola un tempo

era boscosa. Vi si posavano vari semi, come la sophora toromiro e una

varieta' di piante simili alla pritchardia. Il legno di questi alberi e'

l'ideale per l'estrazione, il trasporto ed il rotolamento. La scorza di un

altro legno, la triumfetta, era particolarmente preziosa per la

fabbricazione di solide corde..."

Ma a queste considerazioni si sono opposti molti divulgatori specializzati

in archeologia misteriosa, come lo scrittore svizzero Erich Von Daeniken e

l'esoterista francese Robert Charroux, autori di opere spesso mal

documentate e ricche di fantasie e distorsioni. Costoro ritengono che in

realta' i moai siano stati realizzati da una civilta' aliena che in Rapa Nui

aveva un suo punto di sbarco. "Come truci robot - ha scritto Erich Von

Daeniken nel libro Enigmi dal passato (SugarCo, 1975) - 200 colossi

sorvegliano le coste dell'Isola di Pasqua. Non si sa chi raffigurino. La

leggenda dei Rapa Nui narra che un giorno le statue andarono da sole ad

occupare il proprio posto...La mia ipotesi e' questa: cosmonauti

extraterrestri fornirono ai primitivi abitanti dell'isola strumenti tecnici

di precisione, di cui sacerdoti o maghi potevano servirsi, e grazie a cui

liberarono i massi dalla lava e li lavorarono. I visitatori stranieri

sparirono. Come tutti gli utensili, anche questi strumenti ricevuti in dono

si consumarono e divennero inservibili. I primitivi non poterono

evidentemente costruire nuovi strumenti di quel livello. Sta di fatto che

da un giorno all'altro il lavoro venne abbandonato. Oltre 200 statue

rimanevano incollate alla parete del cratere. Ai nativi restava l'acuta

ambizione di portare a termine il lavoro. Visto che i vecchi utensili non

erano piu' utilizzabili, la lava fu affrontata con mazze di pietra. Per

giorni un allegro martellare risuono' sull'isola, ma senza risultato. Le

amigdale di pietra si consumavano senza che si fosse riusciti a strappare

una sola statua alla parete. Ci si rassegno' e centinaia di mazze di pietra

furono abbandonate nel cratere..." Questo racconto di indubbio fascino e

dalle molte forzature viene condiviso anche dallo scrittore tedesco Ulrich

Dopatka dell'Ancient Astronaut Society (un'organizzazione che si occupa di

misteri dell'archeologia in chiave ufologica) che ha dichiarato: "Anche

ammettendo che i moai siano stati scolpiti con asce primitive, il che

sembra dubbio, come fecero i nativi a trasportarli sul terreno tutto pendii

e avvallamenti dell'isola, dove la vegetazione era forse piu' rigogliosa in

passato, ma certo non di grossi alberi d'alto fusto? Altro fatto

strabiliante, poi, è che i moai, rifiniti e non solo abbozzati presso le

cave, non soffrirono il benche' minimo danno durante il trasporto. Per

trasportarne cosi' tanti ci sarebbero voluti molti uomini robusti, ma

l'isola non fu mai densamente popolata..."

Una risposta a questo mistero sarebbe stata data dall'esploratore norvegese

Thor Heyerdahl, che, filmato dalle cineprese, ha materialmente dimostrato

come sia possibile sollevare un moai, il cui peso oscilla fra le tredici e

le cento tonnellate, e trascinarlo a valle semplicemente servendosi di una

ventina di uomini. Facendolo scivolare, tirandolo con delle corde ora a

destra ora a sinistra, facendogli percorrere in piedi un percorso a zig zag.

"L'idea mi era venuta - ha dichiarato lo studioso - ascoltando una nenia

locale, la stessa che secoli or sono dava il ritmo agli operai che

trascinavano i moai. Guardando poi la base delle statue, che e' smussata e

levigata dall'attrito del terreno durante il trasporto, ho avuto la conferma

alle mie teorie". Niente extraterrestri, dunque, ma semplice forza di

braccia.

La teoria di Heyerdahl e' stata in parte smentita ed in parte confermata

nel 1982, dall'equipe dell'archeologa Joan Vanteelbourg. Quest'ultima,con

l'ausilio di un computer, ha potuto stabilire che per percorrere i 15

chilometri di percorso dal vulcano a valle erano sufficienti 70 operai e

quattro giorni e mezzo di lavoro. "Rimasi stupita dai risultati del

computer. In cosi' poco tempo era possibile spostare un moai. Inoltre

bastava stenderlo supino su due travi di legno, fatte rotolare su alcuni

rulli da traino. Pochissimo materiale e fatica contenuta ..."

Ma se esistono diverse spiegazioni plausibili sulla tecnica di costruzione

dei giganti di pietra, resta da domandarsi chi o cosa stiano osservando da

millenni i muti occhi bianchi dei moai. Attendono forse il ritorno degli

uomini dalla pelle bianca venuti dalle stelle?

Questo e' almeno quanto suggeriscono Ulrich Dopatka e i suoi epigoni, per i

quali la risposta sta nelle profondita' celesti. "Il dio Make Make viene

ricordato in costante rapporto con misteriosi esseri alati. Bassorilievi e

statue di legno e di pietra raffigurano straordinari uomini-uccello,

uomini-lucertola e uomini-pesce...Nella letteratura specializzata l'Isola di

Pasqua viene indicata come isola degli uomini- uccello; l'appellativo e'

del tutto giustificato. Potrebbe darsi che le numerose leggende relative a

divinità volanti tramandino una remota memoria di extraterrestri dall'aspetto parzialmente umano.Su un masso del vulcano Rano Kao è scolpita una faccia totalmente estranea ai luoghi, con una sorta di occhiali, una lunga barbetta, lunghe escrescenze ai lati degli occhi e un paio di corna ramificate, che gli indigeni chiamavano l'uomo-insetto. Da notare che sull'isola non sono mai esistiti animali con le corna..."

Lo scrittore tedesco Horst Haas si sarebbe spinto ben piu' oltre,

giudicando che un' enigmatica incisione su una pietra che pare raffigurare

un pesce palla altro non sia che lo schema di uno statoreattore, la sezione

trasversale di un razzo a combustione!

Sempre Dopatka conclude: "Non potrebbe trattarsi che l'Isola di Pasqua

fosse stata una base degli déi-astronauti extraterrestri? Non conveniva ai

loro progetti che la popolazione li venerasse come divini? Furono essi a

fornire ai nativi strumenti da lavoro atti a scolpire con relativa facilita'

le statue gigantesche? Sfruttarono l'assenza di gravita' per trasportare le

statue dalla cava fino alla costa?"

Un altro autore, il francese Denis Saurat e' invece convinto che i pasquani

appartenessero ad una razza perduta, quella degli uomini-insetto, e che gli

stessi moai siano esseri viventi pietrificati.

Al di la'di queste fantasiose speculazioni, i moai restano un mistero

appassionante che mette in disaccordo anche i piu' equilibrati studiosi.

Tutti pero' concordi nell'escludere qualsiasi spiegazione extraterrestre o

fantascientifica. Giuseppe Orefici, archeologo bresciano, sostiene di non

avere trovato nulla di misterioso nelle costruzioni Rapa Nui, come pure

l'esploratore Mario Majrani , che ha dichiarato: "Certo, sarebbe bello

pensare ad un intervento degli extraterrestri. Sarebbe una scoperta

sconvolgente. Ma in realtà non c'e' nessun mistero di questo tipo, c'e'

solo una delle piu' curiose manifestazioni artistiche di una cultura

lontana".

L'ipotesi piu' credibile e' che i moai fossero i monumenti voluti dalla

casta aristocratica delle orecchie lunghe, cosi' detta per le orecchie

forate ed allungate. Casta che avrebbe sfruttato come schiavi i paria

orecchie corte. Questi ultimi si sarebbero infine ribellati alla tirannia

degli aristocratici e, dopo una sanguinosissima lotta, avrebbero annientato

le orecchie lunghe ed abbattuto i monumenti che li rappresentavano.

Come spesso accadeva nell'antichita'. Per inciso, i moai altro non sarebbero

che monoliti sacri, dedicati agli ahu ma anche ai defunti. "Nessun mistero

- commentera' il giornalista scientifico Viviano Domenici - Le statue

pasquane si ritrovano in tutto l'arcipelago polinesiano, anche se con

dimensioni piu' ridotte. Le speculazioni di Von Daeniken sono solo

fantascienza."

Quanto agli ahu, i raggruppamenti di piu' moai, servirebbero volta per

volta da monumento per gli dei, da colonne portanti del palazzo reale e da

lapidi funerarie. E questo e' confermato dalla grande importanza che gli

isolani attribuivano alla religione, che ha la sua massima espressione

nella festa annuale dell'uomo-uccello, intimamente legata al culto del

dio Make-Make.

Ogni anno i giovani piu' vigorosi si gettavano tra i flutti dalle aguzze

scogliere di Orongo per raggiungere a nuoto l'isolotto di Motunui. Ove era

nascosto un uovo, che idealmente assumeva un significato sacro, quale

primo uovo di Manutara. Quindi, sempre a nuoto, portando il sacro uovo in

mano, dovevano ritornare indietro e consegnare l'ambito trofeo al capo del villaggio. Si trattava di una prova tutt'altro che semplice, che spesso terminava con la morte di uno o più partecipanti. Ma al vincitore spettava nientemeno che il favore degli déi. Ed un grandissimo potere politico.

Sempre Peter Kolosimo, al riguardo, ha scritto: "Impossessarsi dell'uovo

cosmico significava divenire uomo-uccello, simile agli dei discesi,

conquistare l'illusione di essere, per un anno, vicino a quelle creature il

cui ricordo e' ancora fissato su documenti ispirati a tradizioni senza eta'".